Il Regno Unito abbassa l’età per votare a 16 anni, ecco perché potrebbe essere l’occasione per riavvicinare i giovani alla politica
Il governo del Regno Unito ha annunciato che, a partire dalle prossime elezioni, anche i sedicenni avranno diritto di voto. Una decisione storica, che segna il più importante allargamento del corpo elettorale degli ultimi cinquant’anni. L’obiettivo? Rinnovare la fiducia dei cittadini nella democrazia e renderla più rappresentativa delle nuove generazioni.
Il Partito Laburista, oggi al governo con una larga maggioranza, aveva inserito nero su bianco nel proprio manifesto elettorale la volontà di estendere il diritto di voto ai cittadini di 16 e 17 anni. Per alcuni oppositori, si tratta di una mossa calcolata per ottenere più consensi tra i giovani.
Nel Regno Unito, il dibattito sul cosiddetto «Votes at 16» si è intensificato negli anni, passando da essere una battaglia marginale a diventare una questione centrale sostenuta da quasi tutti i partiti, ad eccezione dei Conservatori.
Un dato che parla chiaro: dal 1997, la partecipazione al voto degli anziani ha superato costantemente di almeno 20 punti quella dei giovani tra i 18 e i 24 anni. Per questo, abbassare la soglia potrebbe rappresentare un’opportunità per coinvolgere i giovani fin da subito nella vita democratica, rafforzando il loro legame con la politica.
I sostenitori della riforma fanno notare che a 16 anni molti ragazzi sono già considerati responsabili in diversi ambiti: possono lavorare, pagare tasse, prestare consenso medico, decidere del proprio percorso scolastico o formativo, entrare nelle forze armate (pur senza partecipare a operazioni in prima linea). Secondo questa visione, non ha senso negare loro il diritto di voto, un diritto che dovrebbe essere coerente con le altre forme di responsabilità civica e personale.
Chi si oppone alla riforma ribatte che la maggiore età, in Gran Bretagna come altrove, è ancora fissata a 18 anni. E ricorda che negli ultimi anni alcune soglie legali sono state innalzate proprio a 18 anni, come l’età per sposarsi o per uscire dall’obbligo scolastico. Secondo molti cittadini, i minorenni sarebbero troppo immaturi, politicamente e socialmente, per votare con piena consapevolezza.
Tra i sostenitori della riforma c’è anche Andrew Mycock, esperto di politiche pubbliche all’Università di Leeds, che in un’analisi sulla rivista The Conversation la definisce «un’opportunità che capita una sola volta a generazione per mettere in sicurezza la democrazia britannica». Secondo Mycock, abbassare l’età del voto può essere il primo passo per ripensare il concetto di cittadinanza in una società in cui l’ingresso nell’età adulta è sempre più sfumato. Ma avverte: il solo abbassamento dell’età non basta.
Perché la riforma sia davvero efficace, serve un impegno più ampio: rafforzare l’educazione civica fin dalla scuola primaria, rendere le scuole luoghi di partecipazione e dibattito, coinvolgere i giovani nei processi decisionali, organizzare momenti simbolici per l’ingresso nel corpo elettorale. Senza questi interventi, il rischio è che i nuovi elettori restino esclusi dal dibattito politico e ignorati dai partiti, come accaduto in Scozia e Galles, dove il voto a 16 anni è già stato introdotto. Per Mycock, si tratta di un’occasione da non sprecare. Se accompagnata da un cambiamento culturale, questa riforma può aprire la strada a una democrazia più giovane, inclusiva e partecipata.
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