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Il primo quarto di secolo ci consegna imprese familiari in salute: non resta che affrontare i prossimi tre quarti

Studi e ricerche che confermano la superiorità delle imprese familiari sono sempre più frequenti e solidi e offrono interessanti spunti di analisi ed idee alle imprese familiari. Nell’ultimo anno, ad esempio, familyandtrends ha commentato uno studio di UBS che dimostrava la superiorità delle performance negli ultimi quindici anni e un altro di Mc Kinsey che approfondisce alcuni ambiti che spiegano questa superiorità. Il primo e più autorevole è l’osservatorio AUB che da anni contribuisce a definire e stimolare il capitalismo familiare italiano. L’osservatorio è una delle tante cose che il prof. Guido Corbetta ci lascia come eredità ed insegnamento.
In settimana più di 150 imprenditori e componenti di famiglie imprenditoriali si sono ritrovati a Palazzo Mezzanotte per nominare 30 Ambasciatori d’Impresa: famiglie ed imprenditori che si sono distinti per come si sono adattati alle evoluzioni dei primi 25 anni di questo secolo.
Passato il primo quarto di questo secolo, il capitalismo familiare italiano sembra più in forma che mai. I dati quantitativi del report degli Ambasciatori confermano quanto detto dagli altri studi: imprese con maggior redditività, fatturato in crescita, grande fonte di occupazione. Alcuni dati più approfonditi e frutto di più di cento interviste offrono lo spazio per qualche considerazione aggiuntiva.
La prima: le più di 3.500 imprese familiari italiane con più di 50 milioni di fatturato sono possedute da 21.908 azionisti, 53% uomini, 27.9% donne, 19.1% società. Nel capitalismo familiare prendersi cura dell’impresa è una delle attività chiave: in Italia ci sono quasi ventidue mila azionisti chiamati a questa sfida. Gli azionisti sono residenti in 68 paesi diversi, ma chi volesse gridare allo scandalo dell’archetipo del figlio di papà residente in un paradiso fiscale ad aspettare i dividendi deve ricredersi: il 93% degli azionisti delle imprese familiari italiane risiede stabilmente, i.e. paga le tasse, nel nostro Paese. Un 7% di azionisti esteri in un mondo globalizzato con famiglie che si spalmano geograficamente è un numero più che accettabile.
La seconda: il 64,77% degli azionisti ha un ruolo in CdA. Certo i consigli devono essere sempre più veri luoghi di discussione strategica e devono vedere la presenza di esterni che portino idee e critiche costruttive, ma questo non può far venire meno la necessità di familiari preparati e coinvolti che mettono il parte, spesso rilevante, del proprio capitale a rischio sulle decisioni di cui si discute: più di quattordicimila familiari nel nostro Paese contribuisce a guidare l’impresa che possiede.
La terza: le 3.542 imprese hanno 26.707 partecipazioni, il 48% di queste ha sede all’estero. I dati dicono che nel capitalismo familiare italiano non sono gli azionisti ad andare a godersela all’estero, ma sono le imprese che all’estero ci vanno per competere, sembra con un certo successo. Il 23% delle partecipate estere è in USA, Francia, Spagna, Cina, Germania, Regno Unito, Brasile.
La quarta: digitalizzazione, globalizzazione, transizione energetica e geopolitica sono i quattro trend che hanno impattato di più le imprese familiari in questo primo quarto di secolo. I macrotrend hanno principalmente aumentato il livello di concorrenza e facilitato l’ingresso di nuovi attori nel mercato. Il 20% delle imprese analizzate ha visto un aumento della disponibilità dei prodotti concorrenti a seguito della digitalizzazione e delle innovazioni tecnologiche, con un conseguente calo dei prezzi ed incremento delle quantità prodotte. Il 26% ha riportato un aumento dei costi, con un impatto negativo sulle marginalità aziendali.
La quinta: il 60,91% focalizza il patrimonio sul core business attuale, il 23,64% diversifica in settori adiacenti, l’11,82% integra a valle o a monte della catena del valore (il restante 3.64% ha dato altre risposte). Questo dato conferma un sistema industriale che insiste in ciò che sa far bene, cercando di farlo meglio adattandosi alle evoluzioni di questo quarto di secolo. Si potrebbe pensare che questo approccio sclerotizzi le imprese in settori in declino, ma i risultati economici non confermano questa ipotesi.
La sesta: più del 70% delle famiglie si è dotata di un consiglio di famiglia o di un luogo dove discutere argomenti inerenti la famiglia al di fuori dell’impresa e più del 50% ha regole per carriera e remunerazione. Il primo quarto di questo secolo ci consegna famiglie più coscienti dell’importanza della governance. I dati identificano due sfide: la bassissima presenza di programmi di educazione per i più giovani sottolinea la necessità di creare iniziative per preparare una nuova generazione di “capitalisti” che avranno la responsabilità della proprietà e della ricchezza. La bassa presenza di processi e comitati che permettano alla famiglia di confrontarsi su strategie, diversificazioni ed iniziative di investimento del patrimonio rischia di fare trovare le famiglie imprenditoriali impreparate di fronte al fisiologico aumentare del numero di familiari ed alla necessità di gestire più ambiti della proprietà, e.g. impresa, patrimonio, iniziative filantropiche.
Il primo quarto di secolo ci consegna imprese familiari in salute: i prossimi tre quarti ci aspettano.

* Docente di Family Business Strategy – Università di Torino – bernardo.bertoldi@unito.it


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