Il Pride a Budapest visto da dentro, Francesca Romana D’Antuono: «È stato uno schiaffo a Orbán. Eravamo tantissimi e consapevoli della potenza di quello che stavamo facendo»
Mentre è in viaggio dall’Ungheria verso l’Italia, Francesca Romana D’Antuono, presidente del partito paneuropeo progressista Volt, risponde alle domande di Vanity Fair per raccontarci il Pride di Budapest visto da dentro. Nella sua voce è ancora forte l’emozione per ciò che ha vissuto, gli occhi sono pieni delle migliaia di persone (gli organizzatori stimano circa 300mila partecipanti), secondo D’Antuono sono stati molti di più, arrivate da tutta l’Europa. Le foto pubblicate in queste ore parlano da sole: migliaia di persone hanno attraversato le strade di Budapest con bandiere arcobaleno, cartelli, corpi danzanti e sguardi fieri. Una presenza colorata e resistente in una città dove, da anni, la comunità lgbtqia+ è sotto attacco da parte del governo di Viktor Orbán, dove questa marcia per i diritti è stata vietata dal governo. Il Pride ungherese non è stata una marcia qualsiasi, piuttosto un atto politico, un gesto di coraggio, una rivendicazione di esistenza.
People take part in the Budapest Pride parade in Budapest downtown on June 28, 2025, as the capital’s municipality organised this march by the LGBTQ community, celebrating freedom, in a move to circumvent a law that allows police to ban LGBTQ marches. Hungary’s Prime Minister had announced that police will not “break up” Saturday’s Budapest Pride march despite issuing a ban, but warned attendees and organisers about the legal consequences. His ruling coalition amended laws and the constitution earlier this year to prohibit the annual celebration, advancing his widely condemned, years-long clampdown on LGBTQ rights in the name of “child protection”. (Photo by Attila KISBENEDEK / AFP) (Photo by ATTILA KISBENEDEK/AFP via Getty Images)ATTILA KISBENEDEK/Getty Images
Che atmosfera ha trovato, sia tra le persone che hanno sfilato che nel contesto più ampio della città?
«Budapest è una città estremamente progressista e anche una città estremamente europea e in effetti e i dati ci dicono che è la città in tutta Europa che ha la più alta percentuale di persone che si dichiarano europeiste. Questo va un po’ in contrasto con l’immagine dell’Ungheria come blocco che noi abbiamo e spesso gli abitanti di Budapest infatti si definiscono appartenenti a un’isola progressista in un Paese conservatore. Quindi l’atmosfera in città che ho trovato è estremamente serena. È una città che potrebbe tranquillamente posizionarsi in quello che nell’immaginario è semplicemente l’Europa occidentale».
Ma una città in cui il Pride è stato vietato dal governo.
«Sì. Anche al Pride l’atmosfera era estremamente rilassata, gioiosa, partecipata, calorosa, c’erano tantissime persone con con evidentemente background diversi e che si sono si sono unite. Sono arrivate e tantissime persone dal resto d’ Europa ma chiaramente è stata una manifestazione molto partecipata proprio dagli ungheresi e dalle ungheresi».
Ci sono stati momenti di tensione?
«Specialmente all’inizio quando non si sapeva cosa sarebbe successo, con l’estrema destra che ha fatto una contro manifestazione, con l’incognita delle misure di riconoscimento, per esempio, facciale. Non sapevamo a chi e se sarebbero state implementate le misure cosiddette di sicurezza come le multe e così via. Ma poi questa tensione si è completamente sciolta e secondo me c’è stato un po’ un senso collettivo di vittoria e anche un senso della potenza di quello che stavamo facendo. C’è stato solo un momento più complicato».
Quale?
«A un certo punto, in effetti, una piccolissima parte dell’estrema destra ha bloccato, un ponte sul quale si supponeva che la manifestazione dovesse passare e le autorità hanno deciso di deviarla, quindi si è passati su un altro ponte per evitare di andare a scontro, ma detto onestamente, diciamo, lo scontro sarebbe stato anche veramente impari perché io leggo sui giornali che i numeri che stanno girando adesso sono 200-300mila persone, secondo me si toccava il mezzo milione, eravamo veramente tantissimi e il fatto che fosse una manifestazione così partecipata ha creato un enorme senso di sicurezza».
Quale immagine l’ha colpita di più?
«Direi due immagini più che una. Intanto le immagini che abbiamo visto anche un po’ sui giornali della vista aerea della della manifestazione, la colonna gigantesca di persone che si sono unite a questa battaglia. Io naturalmente, sia per il mio attivismo che per ragioni politiche ho partecipato a tantissimi Pride e devo dire che il colpo d occhio di questo era veramente impressionante. A un certo punto verso la fine della manifestazione c’erano dei manifestanti che si sono posizionati dove passava il corteo con dei cartelli provocatori su cui si leggeva che il Pride è un posto di depravazione che danneggia i bambini e intorno a loro c’era tantissima polizia, molta più di quella che si è vista sostanzialmente in tutto il corteo. Mi ha colpito questo disequilibrio tra la gioiosa serenità del Pride che avanzava, come sempre tra canzoni e slogan e invece il senso di pericolo che si percepiva non non tanto non solo per i manifestanti di sinistra destra, ma perché c’era tantissima polizia a circondarli. Secondo me è un’immagine forte perché ci dà anche un po’ il senso di come la sicurezza poi non si crea solo con le forze dell’ordine, anzi si crea con le persone che fanno le strade sicure».
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