Il potere invisibile dei messaggi: come nasce e cresce una distorta narrazione
La propaganda è un’arma sottile ma devastante. Non ha bisogno di fucili o di missili: si insinua con parole calibrate, attraverso reti associative e persino con la legittimazione di spazi istituzionali. Negli ultimi mesi diversi avvenimenti hanno mostrato con chiarezza come messaggi legati al radicalismo islamista, e in particolare alla narrazione di Hamas, abbiano trovato spazio anche in Italia. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tempo, una serie di inchieste ha avuto il merito di mettere in fila con precisione una rete fitta e trasversale che da tempo lavora alla diffusione di questa propaganda.
I tasselli, letti uno dopo l’altro, compongono un quadro inquietante: associazioni, conferenze, eventi pubblici e contatti che contribuiscono a riprodurre e normalizzare la narrazione di Hamas. Il 29 luglio 2025, nella Sala della Camera dei Deputati, si è tenuta la presentazione di un rapporto delle Nazioni Unite dal titolo “Da un’economia di occupazione a un’economia di genocidio”. Al di là delle sue tesi, l’iniziativa ha visto la partecipazione di attivisti già noti per i loro legami con sigle filo-palestinesi.
Il 9 agosto, un’inchiesta de Il Tempo ha rivelato i rapporti di alcune associazioni italiane con i vertici del movimento islamista. Secondo quanto riportato, il Dipartimento del Tesoro statunitense (OFAC) aveva già da tempo sanzionato il presidente di una di queste realtà per aver convogliato milioni di dollari verso Hamas. Il 16 agosto, ulteriori dettagli: anche una seconda organizzazione benefica attiva nel nostro Paese, sempre secondo OFAC, è stata inserita nella lista delle entità collegate al gruppo islamista.
Il 20 agosto, infine, ha fatto il giro dei social un video che mostrava due dottoresse italiane gettare medicinali soltanto perché provenienti da Israele. Non si è trattato di una provocazione isolata, ma di un atto che riflette la strategia della propaganda radicale: indignare, polarizzare, spaccare l’opinione pubblica.
Questi episodi, se osservati singolarmente, possono sembrare scollegati. Ma chi studia da anni i fenomeni del radicalismo islamista sa bene che esiste un filo rosso. Una rete che unisce moschee, associazioni, ONG e piazze, capace di tradurre il linguaggio jihadista in parole più accettabili per l’opinione pubblica occidentale. Non si usa più la terminologia classica di “jihad” o “califfato”, bensì concetti come “diritti” e “genocidio”. È proprio questa traduzione culturale a rendere la propaganda così efficace: non si impone con la violenza, ma si diffonde attraverso parole che, a prima vista, sembrano universali.
Da tempo un amico vero, persona intellettualmente onesta e coraggiosa, Magdi Cristiano Allam, mette in guardia su questi meccanismi. Nei suoi libri e nelle numerose trasmissioni televisive cui ha partecipato, ha spiegato come il terrorismo islamico non agisca soltanto con le armi, ma anche e soprattutto con una propaganda capace di distorcere la realtà. Allam ha più volte citato passaggi del Corano che, secondo la sua analisi, vengono interpretati in chiave radicale da alcuni movimenti estremisti per giustificare l’ostilità verso ebrei e cristiani. In particolare:
Sura 5:51 (Al-Māʾidah): «O voi che credete! Non prendete gli ebrei e i cristiani come alleati: essi sono alleati l’uno dell’altro. Chi di voi li prende a protettori diventa uno di loro.»
Sura 98:6 (Al-Bayyina): «In verità, i miscredenti, tra la Gente del Libro [ebrei e cristiani] e i politeisti, saranno nel fuoco dell’Inferno, dove rimarranno in eterno. Essi sono i peggiori della creazione.»
Secondo Allam, citazioni come queste dimostrano come l’ostilità nei confronti della tradizione giudaico-cristiana sia radicata in alcuni versetti e come i movimenti estremisti le sfruttino per costruire un’ideologia incompatibile con i principi democratici. La loro più grande vittoria sarebbe proprio quella di presentarsi come difensori dei diritti, mentre diffondono un messaggio di intolleranza.
Oltre alle interpretazioni restano i fatti. Esistono documenti ufficiali e sanzioni internazionali che dimostrano come alcune associazioni operanti in Italia siano state collegate a Hamas. Non sono illazioni, ma atti pubblici e verificabili. In particolare, secondo l’OFAC, Mohammad Hannoun e l’ABSPP avrebbero inviato milioni di dollari verso Hamas e la “Cupola d’Oro” è stata inserita nella lista delle entità legate al gruppo islamista. Formulazioni di questo tipo rendono chiaro che non è l’autore dell’articolo ad attribuire i fatti, ma enti istituzionali internazionali.
Di fronte a queste evidenze la domanda è inevitabile: siamo davvero consapevoli dei meccanismi della propaganda radicale? E soprattutto, abbiamo il coraggio di riconoscerla e smascherarla anche quando si traveste da difesa dei diritti umani? Finché non ci sarà una risposta chiara e concreta, la propaganda dell’islamismo radicale
continuerà a penetrare nei nostri spazi culturali, accademici e istituzionali. Come ha ricordato più volte Magdi Cristiano Allam, la battaglia non è soltanto politica o militare, ma prima di tutto una battaglia di verità.
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