Società

Il pop di Coez, dove il tempo vola ma la nostalgia resta: la recensione di 1998

La formula magica Coez ormai l’ha scoperta da anni. Almeno dal 2017, quando i versi de La musica non c’è e di Faccio un casino gli sono valsi i gradi di generale dell’itpop, oltreché decine di dischi di platino. L’estetica urban che si mischia alla malinconia del cantautorato pop, la mitologia street della seconda metà degli anni Novanta che viene contaminata dal modus vivendi dell’indie italiano: i versi e le produzioni di Coez hanno tenuto – e tengono ancora oggi – insieme tutto questo. Con un filtro di nostalgia decadente, anche la più semplice delle quotidianità può essere raccontata con fascino. Sono i sentimenti, d’altronde, a riempire di significato anche gli eventi più banali della vita. Tutto può essere colorato dalle emozioni vissute e diventare pietra miliare, esperienza spartiacque o ricordo fondante per la vita del singolo individuo. Ognuno scrive e si racconta il suo personalissimo romanzo. E Coez ha la capacità di musicare la colonna sonora di queste narrazioni, di renderle più appassionanti. Poco importa se, la maggior parte delle volte, queste storie decorate sono camuffamenti che indossiamo per nasconderci dalla vita. Poco meno che inganni che facciamo a noi stessi. Noi le abbiamo vissute e sentite, qualcuno le ha raccontate. E tanto basta.

Coez

Davide Rossi Doria

Quello che un po’ stona ascoltando 1998, il nuovo disco di Coez, è che da quel famoso 2017 il mondo è cambiato molto. Banalmente, sono passati otto anni. Sia per l’artista – al secolo Silvano Albanese, classe 1983 – sia per gli ascoltatori. Eppure, poco è cambiato nell’opera di Coez. I fan che ascoltavano con trasporto «Amami o faccio un casino», incastrati nella fine dei loro vent’anni, ora sono cresciuti. Ma premono play, per sentire nelle cuffiette le melodie di Mal di te o di Ti manca l’aria, e tutto pare lo stesso, gattopardescamente giovanile. L’operazione di 1998 d’altronde mira evidentemente anche a questo: cavalcare il tema della nostalgia (il sentimento del nostro tempo) nei confronti di una gioventù che fu. Un riparo dalle difficoltà, individuali e collettive, della contemporaneità. L’adolescenza in cui «avevamo tutto ma in fondo nessuno lo sapeva». Una tarda infanzia fatta di super tele, canotte di Jordan, adesivi sui caschi e sentimenti scomposti, feroci e incostanti. «Pomeriggi buttati sopra quelle panche». La testa era piena zeppa di quelle che si pensava fossero preoccupazioni. «Mamma diceva sempre di non bere, di non fumare come ciminiere e di non fare tardi. Di non fare drammi. Ma i drammi io li faccio di mestiere».

Le 12 tracce di 1998 girano attorno a questo, distinguendosi l’una dall’altra per le atmosfere sonore e gli arrangiamenti. A queste sfaccettature musicali hanno senz’altro contribuito i vari artisti che hanno collaborato con Coez in studio. Non tanto nei feat – ce ne sono solo due, nella stessa canzone, Roma di notte, con Franco126 e Tommaso Paradiso – quanto nel momento autoriale e nelle produzioni. L’arrangiamento di Non dire no, ritmato ma sempre delicato, è frutto delle mani di Riccardo Sinigallia. Come Mr. Nobody e soprattutto Senza te sono evidentemente produzioni ad opera di okgiorgio. Alla ballatona tutta chitarra, cori e sentimenti giovanili, Qualcosa di grande, partecipano due penne talentuose dell’indie e del pop italiano: Niccolò Contessa e Dargen D’Amico. Mentre le chitarre affascinanti di Colombre e le architetture armoniche di Ceri costruiscono Il tempo vola. Quest’ultimo è il brano perfetto per chiudere l’opera – nonché il più interessante del disco. Un album che canta l’età che non torna: «Il senso di quella fretta lo stiamo capendo adesso».

Coez

Tommy Biagetti

Dopo i tre concerti sold out a Londra di inizio giugno, Coez porterà il nuovo disco nei palazzetti italiani con il nuovo tour, prodotto da Vivo Concerti. Si parte da Ancona, il 12 novembre per poi proseguire a Roma (14 novembre), Napoli (20), Bari (22), Torino (29), Milano (1 dicembre) e infine chiudere a Firenze, il 6 dicembre.


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