Il piano (rinnegato): per i palestinesi in fuga ipotesi Corno d’Africa. Le urla di Trump a Bibi
La destinazione per i profughi palestinesi dopo la fine del conflitto tra Israele e Hamas potrebbe essere il Corno d’Africa. È questa una delle ipotesi di “rilocalizzazione” degli abitanti di Gaza, che secondo un piano messo a punto da Boston Consulting Group potrebbero essere inviati in Somalia e Somaliland. La società americana di consulenza strategica ha lavorato con la controversa Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione Usa con sede in Delaware fondata nel febbraio 2025 con lo scopo di distribuire aiuti umanitari durante la crisi umanitaria nella Striscia. E secondo quanto rivelano fonti informate al Financial Times, ha creato un “foglio di calcolo” per conto di imprenditori israeliani interessati a riqualificare il territorio una volta espulsi i palestinesi.
Si tratta di informazioni non divulgate in passato, e nell’elenco di Paesi ospitanti ci sono pure nazioni arabe come Egitto, Emirati Arabi e Giordania. I piani di ricollocazione si basano su resoconti dei media risalenti a marzo, i quali suggeriscono che funzionari israeliani e statunitensi hanno discusso con i leader dell’Africa orientale dell’accoglienza dei deportati palestinesi, in cambio di vantaggi come il riconoscimento del Somaliland separatista come stato indipendente. “Accettando i cittadini di Gaza che si trasferiscono temporaneamente e volontariamente, un Paese riceverà un’iniezione di popolazione con un beneficio economico che potrebbe chiaramente essere significativo”, spiega al Ft una fonte informata. Una stima associata al piano prevede che il 25% dei palestinesi di Gaza deciderebbe di trasferirsi fuori dall’enclave, mentre per i Paesi che accoglierebbero i palestinesi sono previsti 4,7 miliardi di dollari di benefici economici nei primi quattro anni.
Il coinvolgimento di Bcg nel progetto è stato rivelato dal Ft il mese scorso, spingendo la società a rinnegarlo pubblicamente, e ad affermare che al partner responsabile era stato detto di non realizzarlo. Il colosso della consulenza, secondo il Washington Post, ha ritirato la sua squadra operativa sul campo da Tel Aviv, rescisso il contratto con Ghf e messo in congedo uno dei partner senior a capo del progetto, in attesa di una revisione interna.
Intanto Nbc News rivela il retroscena di una delle ultime telefonate tra il presidente americano e il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che sarebbe culminata con le urla del tycoon per la crisi umanitaria a Gaza. L’accesa conversazione – secondo funzionari Usa – ha avuto luogo il 28 luglio, in seguito alla dichiarazione di Bibi che “non c’è fame a Gaza”. Trump lo ha contraddetto pubblicamente (dicendosi “non particolarmente convinto” delle rassicurazioni) e il premier ha chiesto di parlare al telefono con il comandante in capo.
Durante il colloquio, svoltosi poche ore dopo, ha spiegato a The Donald che le notizie sulla carestia a Gaza erano state “costruite” da Hamas, e a quel punto il presidente lo avrebbe interrotto iniziando a urlare e dicendo che i suoi collaboratori gli hanno mostrato le prove che i bambini di Gaza stanno morendo di fame. Commentando la notizia della presunta lite, l’ufficio di Netanyahu ieri si è limitato a bollare la notizia come fake news. VRob
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