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Il piano di Crosetto e il futuro delle forze armate: ecco cosa può succedere


Il piano di Crosetto e il futuro delle forze armate: ecco cosa può succedere

Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha recentemente affermato che il piano per la sicurezza nazionale è pronto. “Ci abbiamo lavorato e ragionato a lungo” ha spiegato il ministro, aggiungendo che “abbiamo analizzato quali sono le risorse, le criticità e, soprattutto, purtroppo, i tanti pericoli che abbiamo di fronte. Dobbiamo prevedere anche gli scenari peggiori, mettendo in sicurezza il Paese davanti a diversi tipi di minaccia, anche cyber. E’ un piano che chiaramente richiederà 8-10 anni per sviluppare una capacità difensiva adatta ai tempi. Dunque vuol dire: infrastrutture, addestramento, aumento del numero delle forze armate, integrazioni di vario tipo”. “Ad esempio” aggiunge ancora “per i Carabinieri: in caso di guerra, una parte di loro potrebbe attivarsi come forza aggiuntiva alle Forze Armate. Con questa strategia, nel suo complesso, andremo incontro alle richieste della Nato”.

Sul numero del personale per le FFAA, nelle scorse settimane era già trapelata la possibilità di un aumento compreso tra le 30mila e le 40mila unità per Aeronautica, Marina ed Esercito. Una possibilità dettata da una criticità espressa dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Carmine Masiello, che ha stimato una carenza di circa 40-45mila unità, mentre l’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ha affermato che servirebbero almeno altri 9mila marinai.

Se si dovesse attuare l’aumento del personale volontario – la leva è stata sospesa nel 2004 – bisognerà comunque razionalizzare i quadri e i comandi in quanto la più grande problematica delle nostre Forze Armate è la spesa per il personale, che assorbe attualmente la maggior parte delle risorse economiche stanziate per il comparto Difesa pari al 53,3% (10,6% per l’esercizio e il 35,9% per l’investimento). Una soluzione, anche per far fronte all’emorragia di sottufficiali per raggiunti limiti di età che si è palesata recentemente, sarebbe quella di aumentare il numero di personale in ferma prefissata, allungandola, fornendo al contempo una formazione adeguata che possa permettere il reinserimento nella società civile, anche magari tramite canali preferenziali.

In questo modo si “svecchierebbero” le FFAA aumentandone il numero. Per inciso, questo permetterebbe anche di avere una valida forma di personale di riserva mobilitabile senza particolari oneri. Si potrebbe anche pensare di attuare il modello svedese di leva selezionata: 10mila unità arruolate sulla base di una chiamata alle armi più vasta per integrare il modello precedente.

Servono comunque più infrastrutture, e questo è un ostacolo non da poco considerando che la maggior parte di quelle utilizzate ai tempi della coscrizione obbligatoria sono state vendute o giacciono in stato di abbandono, e gli standard di sicurezza odierni, così come quelli energetici, sono profondamente diversi, quindi andrebbero costruite ex novo.

Il piano di sicurezza nazionale deve assicurare la resilienza delle strutture di comando, controllo, comunicazione ed energetiche, e da questo punto di vista la sicurezza cyber è fondamentale ma va garantita anche quella fisica delle infrastrutture, in quanto le azioni di guerra ibrida prevedono comunque il sabotaggio: la sorveglianza, in questo caso, può anche essere fatta da remoto con sensori di vario tipo. Per inciso, la chiusura della missione “Strade Sicure”, sbloccherebbe immediatamente risorse umane (e materiali) immediatamente reimpiegabili in altri fronti più impellenti, con relativi fondi reindirizzati. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: l’Esercito non è una forza di polizia, tanto meno di protezione civile.

A tal proposito i Carabinieri, quarta Forza Armata nazionale, potrebbero effettivamente ricevere un addestramento un po’ più combat utilizzando inizialmente le strutture di quei reparti specializzati come il Primo Reggimento paracadutisti “Tuscania” e i Cacciatori, in modo da poter coordinare una futura difesa territoriale fatta di volontari della riserva.

Alle nostre Forze Armate servono rinnovate capacità logistiche e di movimentazione, da qui andrebbe preso in carico quel gap capacitivo che si sta presentando dal punto di vista del trasporto tattico, vista l’anzianità dei C-130J, senza dimenticare la capacità di situational awareness che andrebbe ulteriormente migliorata con acquisizione di piattaforme più performanti dal punto di vista del raggio operativo (quindi di durata di missione). Un altro gap da colmare sarebbe quello delle capacità di rifornimento in volo per l’Aeronautica (troppo pochi 4 KC-767) e soprattutto quella della Marina, che a oggi può formare un Carrier Strike Group ma senza aerocisterne imbarcate, e nemmeno con un velivolo imbarcato AEW (Airborne Early Warning).

La space awareness resta fondamentale, e per fortuna il nostro Paese è uno dei migliori al mondo per quanto riguarda le capacità di produzione di assetti (insieme ad altri europei) e soprattutto è un grado di esprimere una propria industria missilistica per la messa in orbita, sebbene ci si debba ancora affidare alla basa di lancio francese nelle Guyana.

Dal punto di vista strettamente navale gli investimenti in nuovi sottomarini, fregate Fremm EVO e i progetti per nuovi cacciatorpediniere sono un ottimo inizio per avere la giusta turnazione di unità navali di livello in mare; soprattutto è un ottimo segnale industriale e strategico la decisione di esplorare la fattibilità della propulsione nucleare navale.

Per quanto riguarda le forze terrestri, sappiamo già della joint venture italo-tedesca per i nuovi carri armati e mezzi corazzati di supporto alla fanteria, ma servirebbe lavorare a una piattaforma nazionale/europea di sistemi di lancio missilistici campali di precisione (tipo gli Himars statunitensi).

Maggiori investimenti andrebbero riservati al settore unmanned, non solo aereo ma anche navale e terrestre, nell’ottica di un architettura “sistema di sistemi” che si sta palesando per gli assetti dei campi di battaglia del futuro.


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