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il paradosso cognitivo del manager e il valore del pensiero divergente

Nel tempo in cui l’intelligenza artificiale dimostra una capacità di analisi superiore a qualunque mente umana, il manager si scopre più informato ma meno creativo, più preciso ma meno visionario, più efficiente ma meno libero.

È il paradosso cognitivo del manager algoritmico: delegare il pensiero analitico alla macchina libera tempo e risorse ma finisce per irrigidire la capacità di pensare out of the box.

L’Ai consente di formulare previsioni di mercato più accurate, elaborare scenari complessi, scoprire pattern e relazioni nascoste e latenti all’interno di enormi volumi di dati, potenziando le capacità del management di decidere ed agire in tempi rapidi e su basi percepite come oggettive. Questa oggettività algoritmica rischia tuttavia di diventare un fattore invisibile di distorsione cognitiva, che porta a confondere la profondità con la precisione e l’intuizione con l’analisi.

Gli algoritmi apprendono e fondano le loro elaborazioni su fenomeni già osservati, registrati, classificati e, in quanto tali, riferiti al passato. Il manager che si affida troppo all’intelligenza artificiale rischia di assumere decisioni prevedibili quanto i modelli che consulta e di perdere l’attitudine a rompere schemi, immaginare il nuovo, intravedere possibilità che i dati non possono ancora raccontare.

In questo senso, l’Ai può diventare una gabbia cognitiva, che incentiva una forma di pensiero lineare e deduttivo e scoraggia la deviazione, l’ambiguità, la sorpresa.


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