“Il palco medicina di tutto”. Il Papa? “Seguo con apprensione” – Il Tempo

il tour nei palazzetti
Più che dissipare talento e rischiare perdite di energia o, al contrario, accettare il compromesso con l’economia del risparmio, Lorenzo Jovanotti dà gas quanto basta per incendiare folle eterogenee e galvanizzare la sua gente. La posta in gioco, dopo l’incidente in bici a Santo Domingo, è alta. Tornare a masticare la polvere dei live significa, questa volta, sfruttare la tempesta scatenata dalla rovinosa caduta e cavalcare quello tsunami di emozioni che riporta a galla l’anima da vero showman. Come scacciare i fantasmi evocati dalla paura, tutta terrena, di non riconoscersi? Ripartendo dal corpo, dinoccolato e potente, e tornando a ruotare attorno al sole più luminoso: la musica dal vivo. «Ho dovuto riacquistare una memoria motoria rispetto alla gestualità scenica. Quella cosa lì può avvenire solo sul palco. Lo spettacolo, però, credo sia il più bello che abbia mai fatto e il feedback del primo pubblico è positivo», confessa il cantautore all’incontro con la stampa, dove si presenta con un cappello da cowboy e l’occhio vispo di chi non vede l’ora di sgranchirsi di nuovo le gambe.

Il carrozzone del PalaJova, il nuovo tour del 58enne che segue l’uscita dell’album «Il corpo umano» e che farà tappa ad Aprile anche a Roma, in realtà è già partito e corre, con velocità forsennata, perle strade delle città. Accompagnato da un ensemble di tredici solisti, che vanno a comporre «una band compatta, che così se ne sentono poche nella vita», Jovanotti scuote tutti dal torpore con una scaletta che mescola cavalli di battaglia e nuovi, apprezzati pezzi. Un solo obiettivo da centrare: fare delle canzoni la colonna vertebrale dello spettacolo. Da «L’ombelico del mondo» a «Il più grande spettacolo dopo il Big Bang», da «Le tasche piene di sassi» a «Mi fido di te», da «Fuorionda» a «Un mondo a parte»: le tracce scorrono e Jova, più che mai, fiorisce. «L’idea del concerto parte dalla fioritura e dalle parole illuminanti di Etty Hillesum (una scrittrice olandese vittima della Shoah, ndr). Lei dice: fiorire, fiorire ovunque. Mi sembrava bello», racconta l’artista, che ha provato a trasferire l’immagine di un prato lussureggiante nei palazzetti facendo realizzare dei fiori che si inclinano e si accendono creando movimento e giochi di atmosfere.

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La vertigine delle nuove tecnologie, autotune compreso, non lo spaventa: «È l’invenzione del secolo. Se lo usi per creatività, è una chitarra distorta. Il mio show è tutto suonato, anche l’elettronica, ma solo perché ne avevo voglia. La musica è anche progresso tecnologico», dice. Un bisogno di festa, quello che è alla base del nuovo spettacolo targato Jova, che è un po’ un antidoto alla bestialità del mondo e a un tempo troppo spesso incerto. «Viviamo un periodo di crisi permanente e, proprio per questo, dobbiamo essere vitali. Ecco perché ho scelto i colori e i riferimenti all’universo dei cartoon», racconta sollevando il velo su una verità. Non manca un pensiero per Papa Francesco: «È il mio vicino di casa (il padre ha lavorato per il Vaticano, ndr). La sua è una delle poche voci che si alzano contro la follia, lo seguo con apprensione. Come tutti», aggiunge sorridendo. L’incendio scoppiato, di note e colori, sarà difficile da spegnere.
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