il nuovo sparatutto bodycam italiano che sorprende e inquieta
Non senza un certo piacere, torniamo per la terza volta in pochi giorni a parlarvi di una produzione videoludica tutta italiana. Dopo l’avvincente reveal di When Sirens Fall Silent di LKA Studio e l’uscita del controverso Horses (la recensione di Horses è a portata di click), siamo qui per raccontarvi di un altro progetto sviluppato da un nostro connazionale e pubblicato da MicroProse che, sebbene sia ancora lontano dall’uscita, abbiamo potuto provare con largo anticipo.
MonteGallo, questo è il nome dello sviluppatore, ci ha affidato una build pre-release da playtest chiuso. Felici ed onorati, siamo immediatamente corsi a provare BTD per scoprire, con grande sorpresa, che si tratta di un gioco molto interessante.
Una storia di vendetta
La storia, pur semplice nella struttura, fa leva su un immaginario disturbante e volutamente realistico. Ci troviamo a Hong Kong, in un luogo degradato e isolato che ci ha ricordato molto l’ambientazione che fa da sfondo all’avventura di Kane & Lynch 2. In questo luogo accade qualcosa di terribile: un’organizzazione criminale rapisce donne e le sottopone a violenze e torture.

Il gioco non mostra mai troppi dettagli, dal momento che adotta lo stesso filtro pixellato usato da produzioni come Unrecord e Bodycam per coprire volti e parti intime, ma non nasconde gli orrori del contesto: i corridoi fatiscenti, i cumuli di corpi abbandonati in sacchi della spazzatura e le stanze improvvisate per filmare gli abusi, tutto contribuisce a creare una sensazione di disgusto e oppressione. E interessante anche come il setting riesca a spiegare la storia senza una singola linea di dialogo o pochi secondi di filmato.
È proprio in questo inferno che si risveglia la protagonista, una giovane donna di cui non sappiamo assolutamente nulla: non è chiaro come sia finita in questo terribile mattatoio e non viene svelato nemmeno come si apra una via di fuga. L
‘unica cosa certa è che ci svegliamo in una stanza con la porta aperta e la possibilità di raccogliere una semplice pistola, che sarà poi l’unica e sola bocca da fuoco che ci accompagnerà in un turbinio di sangue e piombo. Da quel momento, infatti, Better Than Dead diventa un racconto di vendetta, attraverso il quale possiamo vestire i panni della ragazza e vendicarci di ognuna delle figure di spicco di questa organizzazione criminale che sembra anche avere una sorta di logo, ossia due cani che combattono e che appaiono sotto forma di graffito in ognuna delle location visitate.
Bullet time e fortuna
Per quanto il contesto crei un grande coinvolgimento, è il gameplay di Better Than Dead a rappresentare il fulcro dell’esperienza. Il gioco propone una struttura molto interessante, che ci ha ricordato per certi versi quella di Hotline Miami, ma con una prospettiva ben diversa, visto che il titolo è uno sparatutto in soggettiva in stile body cam. Il pronunciato effetto fish eye non è un semplice vezzo grafico, visto che oltre a rendere tutto più realistico dal punto di vista visivo va anche a condizionare a fondo il gameplay. La visuale ondeggia in modo naturale ma costante per seguire i movimenti della ragazza e l’arma non punta sempre al centro dello schermo, motivo per cui prendere la mira è difficile ma allo stesso tempo particolare e gratificante, poiché richiede una certa abilità.
Il risultato è un’esperienza assai appagante, anche perché riesce a trasmettere in modo convincente la difficoltà di una persona inesperta nel maneggiare una pistola. Sì, perché Better Than Dead accentua volutamente l’imprecisione della protagonista: i colpi non sempre vanno dove vorremmo e bisogna essere rapidi nel riempire di proiettili il bersaglio di turno, poiché ogni istante può essere fatale. Non è un difetto, ma una scelta di design coerente con la natura del personaggio, che non è un soldato, né un agente addestrato, ma una normalissima ragazza che ha subito un trauma e vuole che ogni singolo responsabile la paghi.
Al netto di queste peculiarità del gunplay, si tratta di un gioco estremamente semplice, che si basa su poche meccaniche ben strutturate.
Oltre alla semplice possibilità di mirare e premere il grilletto, possiamo anche eseguire una breve scivolata che, seguita dall’attivazione dell’iron sight, permette di usufruire per qualche istante del bullet time. Avere a disposizione la possibilità di rallentare il tempo, anche se per poco, risulta essenziale per ovviare a qualsivoglia errore, dal momento che gli scenari sono luoghi comuni come centri massaggi e ristoranti, quindi sono popolati sia dagli sgherri dell’organizzazione che da civili. A differenza di quanto si possa immaginare, l’eliminazione di innocenti (che sia essa volontaria o frutto di un errore) non comporta il game over immediato ma va ad alterare la partita incidendo sul sistema della fortuna. Eliminare un civile comporta conseguenze pesanti: il bullet time viene disattivato del tutto e i nemici diventano progressivamente più precisi a ogni civile abbattuto. Viene così a crearsi un circolo vizioso che può rendere la sopravvivenza molto difficile, obbligando a valutare ogni colpo con attenzione per evitare di ripetere la missione.
Missioni brevi ma intense
Come accennato poco prima, le missioni sono brevi ed incalzanti e richiamano per ritmo e struttura quelle di Hotline Miami. Si entra nell’edificio di turno, si elimina tutto ciò che impugna un’arma e si torna al luogo d’ingresso per passare alla successiva carneficina. La progressione è rapida, con livelli che durano pochi minuti ma che vantano un’elevata rigiocabilità, anche per via di quella componente trial and error che caratterizza i titoli della serie pubblicati da Devolver Digital, in cui bisogna studiarsi un percorso e conoscere il posizionamento dei nemici nell’area per poter fare una run pulita.

Dopotutto morire è semplicissimo e capita spesso di dover ricominciare la missione cercando di ovviare agli errori, evitando al contempo ogni eliminazione superflua per ottenere una buona valutazione finale. Tale sistema è ancora abbozzato, ma se ben sviluppato potrebbe rendere il gioco molto piacevole per chi ama migliorarsi, magari attivando modificatori, introducendo armi extra e altri elementi che favoriscono la rigiocabilità. Nei menu è anche presente un secondo livello di difficoltà oscurato, indice del fatto che qualcosa in tal senso sia presente e non possiamo che guardare con curiosità a questo tipo di extra.
Unreal Engine 5 e ottimizzazione
Sul fronte tecnico, Better Than Dead è sulla buona strada. Lo ricordiamo: quella che abbiamo testato è una build estremamente preliminare, quasi una intelaiatura su cui costruire poco a poco il gioco. L’Unreal Engine 5 viene utilizzato comunque decisamente bene, permettendo di raggiungere un ottimo livello di dettaglio che, complice anche l’uso dei filtri che caratterizzano questo genere di produzioni, contribuiscono a creare quella sensazione di realismo assai peculiare. Ovviamente ci sono ancora tante imperfezioni che, trattandosi di una build lontana dalla versione finale, non sorprendono affatto.
A stupirci è stato invece il livello di ottimizzazione, che per una produzione di questo tipo è incredibile. Tralasciando qualche oscillazione del framerate dopo il caricamento iniziale e nella missione con un maggior numero di elementi a schermo, il gioco gira in maniera fluida anche al massimo delle impostazioni a risoluzione 2K e con una RTX 4060TI, indice del fatto che sia stato svolto un lavoro notevole, che col tempo (speriamo!) può solo migliorare.
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