Economia

Il no di Berlino a Ursula: la rivolta dell’industria sul bilancio Ue gonfiato

BERLINO – Negli stessi giorni in cui sta trattando per sé stessa delle mostruose eccezioni al Patto di stabilità per realizzare il suo maxi piano di spesa per investimenti e difesa che vuole finanziare in gran parte a debito, la Germania frena sull’ipotesi che il Bilancio europeo venga allargato. In altre parole, Berlino è pronta a concedere a sé stessa enormi margini per tirarsi fuori dalle secche della recessione e accontentare le richieste della Nato su una difesa portata al 5% del Pil. Ma ora che la Commissione europea chiede un colpo d’ali ai partner europei per ingigantire il bilancio dei prossimi sette anni a duemila miliardi di euro e trovare soldi per rimettere in moto l’intero continente e rafforzarne la sicurezza militare, da Berlino arriva un sonoro “nein”.

Il portavoce del governo, Stefan Kornelius, ha spiegato ieri che “un ampio aumento del Bilancio Ue non è pensabile in tempi in cui tutti gli Stati membri devono fare enormi sforzi per consolidare i propri bilanci nazionali”. Il vicecancelliere e ministro delle Finanze Lars Klingbeil gli ha fatto eco: “Dobbiamo assolutamente rimanere proporzionati, per quanto riguarda le finanze”. Nei giorni scorsi era emerso anche che Berlino volesse vincolare l’erogazione di fondi a riforme nazionali.

Il punto, però, è che Berlino contribuisce per circa un quarto al Bilancio europeo. E ieri al rumoroso “no” della Germania sono seguiti quelli degli alleati di sempre ribattezzati in anni recenti “frugali”, Paesi Bassi in testa. Un’alleanza rinata anche da una necessità contingente: nella proposta di Ursula von der Leyen sono spariti gli sconti sui contributi, i cosiddetti rebates concessi proprio alla Germania e ai quattro “frugali”, Paesi Bassi, Svezia, Austria e Danimarca. Un malloppo che viene rimborsato ex post e che stavolta è stato cancellato.

Soprattutto: una parte degli introiti dovrebbe arrivare da una tassa imposta alle aziende con un fatturato superiore ai 100 milioni di euro. Klingbeil ha ricordato che il suo governo ha intenzione di rafforzare la sua economia, di creare posti di lavoro e attrarre investimenti in Germania. Imporre un balzello alle aziende tedesche, ha concluso, “significherebbe mandare un segnale sbagliato”. Sulla stessa linea il portavoce di Merz: “la tassazione ulteriore delle imprese ci trova in disaccordo”.

Contro l’imposta sulle imprese si sono mobilitate anche le stesse aziende tedesche. Ieri è scesa in campo anzitutto la potente Associazione dell’industria dell’auto Vda. “Ogni aumento delle imposte o introduzione di nuovi contributi è una proposta da rigettare” ha avvertito la presidente, Hildegard Müller. Un balzello calcolato in termini assoluti e a prescindere dagli utili sarebbe “particolarmente dannoso” e metterebbe a rischio la competitività delle aziende europee, ha aggiunto. Sulla stessa lunghezza d’onda la Camera per l’industria e il commercio DIHK: “è un segnale totalmente sbagliato”, ha tuonato la numero uno Helena Melnikov.

Unica consolazione, per Bruxelles: al governo Merz piace l’impianto di fondo del Bilancio, l’idea di destinare meno risorse all’agricoltura e alle regioni per concentrarsi maggiormente sulla crescita e la difesa. Con quali soldi, verrebbe da chiedersi, visto che Berlino si oppone a tutto.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »