Il muro dell’infamia che ora punisce Sarkozy
Sarkozy è entrato in carcere e molti hanno ricordato un muro: quello dei coglioni. Testualmente. Un ex capo di Stato che finisce in galera del resto non è solo una notizia giudiziaria, ma è un sintomo politico: e la Francia che vede Nicolas Sarkozy condannato a cinque anni di reclusione è la stessa che dodici anni fa scoprì il “Mur des cons”, muro non metaforico: una parete tappezzata di fotografie ed esposta nella sede del Syndicat de la magistrature (il sindacato rosso dei giudici francesi) con sopra, in pennarello, la scritta “Mur des cons”, muro dei coglioni, e, sotto, vide volti di politici di destra, giornalisti, intellettuali, sindacalisti di polizia, perfino genitori di vittime di reati che avevano criticato la giustizia. Tra loro c’era Sarkozy. Il video lo girò, nel 2013, il cronista Clément Weill-Raynal di France 3, poi lo diffuse anche France 2 e la Francia rimase di sale. Quel pannello scoperto per caso fu la rivelazione plastica di un sentimento: una parte della magistratura francese non solo vantava un’idea politica, ma la esibiva come un distintivo. Il sindacato ammise poi che quel muro era stato “uno sfogo creato durante gli anni di Sarkozy, quando i magistrati venivano attaccati da ogni parte” e cioè uno sfogo un’autocelebrazione, un atto politico travestito da ironia. Poco cambiava. La presidente del sindacato, Françoise Martres, finì sotto processo, e nel 2019 fu condannata per ingiurie pubbliche a cinquecento euro di multa: cifra ridicola, come ridicola fu l’autodifesa. Il danno vero ovviamente fu morale: il “Mur des cons” divenne la prova fotografica che la neutralità giudiziaria era una finzione utile finché serviva. Il ministro della Giustizia di allora, Christiane Taubira, provò a minimizzare, e la sinistra parlò di “errore umano” (cos’altro?) ma la Francia di destra non dimenticò. Da allora, ogni processo con un imputato sarkoziano porta addosso l’ombra di quel muro.
Non è un caso che in questi giorni il deputato repubblicano Jean-Didier Berger, reagendo alla condanna di Sarkozy, abbia detto: “Dal muro dei coglioni in poi, sappiamo che un certo numero di magistrati ha convinzioni politiche”. Lo stesso Sarkozy, dopo la sentenza, ha parlato di “haine des magistrats”, l’odio dei giudici. E Philippe de Villiers, dal suo profilo Facebook, ha scritto un epitaffio che fotografa perfettamente lo spirito del tempo: “Le Mur des cons a gagné”, ha vinto. Tutto molto italiano. Anche troppo. Quel muro, del resto, nacque proprio sotto il suo governo, quando Sarkozy tentò di riformare la magistratura e di ridurre il potere dei giudici istruttori. La sinistra giudiziaria lo prese come un affronto personale, e reagì con un muro appunto letterale e mentale. Quella stagione lasciò un segno profondo: i giudici si percepirono come l’ultimo baluardo morale contro la politica corrotta (tutto sempre più italiano) e la politica li vide come una nuova forma di potere. Da allora, la distanza si è trasformata in ostilità. Oggi, dodici anni dopo, la giustizia francese sembra restituire il colpo. Con interessi.
La pena inflitta all’ex presidente è la più severa mai comminata a un capo di Stato nella Quinta Repubblica, e non viene letta solo come il castigo di un uomo, ma come la vittoria di un sistema. Naturalmente i tribunali non si esprimono in base a un muro tappezzato, ma i simboli contano. Sarkozy che si consegna ai gendarmi l’ha fatto tornare in mente a tanti, questo simbolo: che non fu un errore di gusto, ma un manifesto di appartenenza. La Francia ovviamente potrà dire che la giustizia è indipendente, le solite cose: ma una parte del Paese non ci ha più creduto, come da noi in Italia.
Sul muro dei coglioni fu appesa l’imparzialità della giustizia stessa: e oggi, mentre Sarkozy sconta la sua pena, quel muro e quelle risate d’epoca sono diventate un monumento alla certezza che la giustizia, in Francia come altrove, quando si convince d’essere il Bene, non giudica più: punisce.
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