Il mondo dipende dai fossili, ma le energie rinnovabili volano e sono già realtà
Nel mondo la crescita delle rinnovabili avanza a un ritmo senza precedenti: nel 2024, il 47% dell’elettricità consumata dall’Unione Europea proveniva da fonti rinnovabili. La Cina da sola installa il doppio di eolico e fotovoltaico rispetto a tutti gli altri Paesi sommati e ha raggiunto i suoi obiettivi per il 2030 con 6 anni di anticipo.
Non solo: nelle ultime edizioni del World Energy Outlook dell’International Energy Agency, un rapporto annuale che ipotizza gli scenari futuri, l’agenzia è stata costretta a rivedere costantemente al rialzo le proprie stime sullo sviluppo di fotovoltaico ed eolico. Nel 2015 prevedevano che nel 2023 sarebbero stati installati circa 50 TW di nuovi impianti fotovoltaici nel mondo; negli anni successivi la cifra è stata prima portata a 100 TW e poi nel 2021 a 200 TW; ma il dato reale nel 2024 ha superato i 600 TW, 12 volte di più di quanto previsto solo 9 anni prima.
“Insomma, l’era delle rinnovabili è già realtà, eppure questo dato stenta a consolidarsi nell’opinione pubblica. L’energia rinnovabile sembra ancora una promessa, qualcosa di là da venire, in fondo una buona idea, ma chissà se si realizzerà”, osserva Gianluca Ruggieri, ricercatore e docente di Fisica tecnica ambientale all’Università dell’Insubria, in un libro, “Le energie del mondo. Fossile, nucleare rinnovabile: cosa dobbiamo sapere” (Laterza), in cui fa il punto sull’energia a livello globale e nazionale.
Nel mondo solo il 20% dell’energia è consumata sotto forma di elettricità – Se questi dati sono positivi e davvero incoraggianti, non bisogna scordare tuttavia, nota il docente, che il mondo è ancora drasticamente dipendente dal fossile. A livello globale, solo il 20% dell’energia finale è consumata sotto forma di elettricità. E anche nell’Unione Europea e in Italia questa quota arriva appena al 23%. Il resto è energia termica, cioè calore prodotto dalla combustione di fossili, biomassa e biocombustibili (26% carbone, 32% petrolio, 23% gas). Ecco perché, spiega Ruggieri, “se ci limitiamo a parlare solo del presunto duello tra rinnovabili e nucleare, stiamo dimenticando che l’80% dell’energia finale non è elettricità. Che poi è quasi sempre quella che tiene in moto automobili, navi o aerei, o che usiamo nelle industrie, per cucinare, per riscaldare le nostre case e molto altro ancora”.
L’autore spiega con chiarezza che “i fasti del carbone purtroppo non sono ancora alle nostre spalle”. Secondo l’International Energy Agency i consumi mondiali di carbone nel 2023 hanno raggiunto il massimo storico di 8.687 milioni di tonnellate, due terzi dei quali utilizzati per la produzione di elettricità (36% del totale). Il petrolio domina il settore del trasporto, in particolare stradale. Una quota consistente dei consumi la fanno l’aviazione (8,6%) e il trasporto navale (6,7%). Ma una parte del petrolio estratto (16,7%9 è dedicato alla produzione di solventi, asfalti, bitume, gomma e plastiche). Quanto al gas, il grosso di quello estratto si brucia per produrre elettricità: nel 2023 circa il 22,5% dell’elettricità globale, il 16,9% in Europa, il 45,5% in Italia.
1,8 milioni di impianti rinnovabili solo in Italia – E proprio sull’Italia, l’autore ricorda che la nostra geologia ci obbliga, per ora, a importare fonti fossili. “Ma non solo, anche elettricità. Secondo Terna, nel 2023 abbiamo importato circa 51 dei 314 TWh consumati, pari circa al 16,3%”, continua Ruggieri. In pratica, la produzione nazionale è data dalla somma dei pochi combustibili fossili estratti nel nostro territorio e l’energia prodotta da fonti rinnovabili.
A fronte di questo quadro che potrebbe apparire a tinte fosche, però, la transizione ecologica “ci offre la possibilità di lasciarci alle spalle questa struttura gerarchica e centralizzata che regala ai colossi del settore uno strapotere senza limite”. Nel mondo, come si è visto, la crescita delle rinnovabili corre veloce. Ma già oggi in Italia sono presenti 1,8 milioni di impianti di produzione che rendono altrettante utenze finali almeno in parte indipendenti dalle grandi centrali di generazione. L’autore interviene sulla polemica rispetto all’invasività di pale e pannelli. “La lunghezza delle pale eolica è fondamentale, perché aumentandole anche solo di un terzo, ad esempio da 81 a 108 metri, la potenza sale del 75%. Ma se è vero che c’è un impatto ambientale, il consumo di suolo si riduce proprio costruendo impianti di maggiori dimensioni e di minor numero”. Il problema, semmai, sono i minerali, come il neodimio, che vanno estratti, con i relativi impatti ecologici. La nota positiva è “che sono tutti riciclabili”, aggiunge l’autore.
Quanto alla questione della superficie per i pannelli, ci sono 3,7 milioni di ettari di terreno agricolo attualmente inutilizzati. Oggi gli impianti occupano solo 16.000 ettari. E per raggiungere gli obiettivi al 2030 la necessità stimata va dai 60 ai 120.000 ettari. “I divieti assoluti non aiutano né il settore agricolo né gli obiettivi di decarbonizzazione”, spiega Ruggeri. I pannelli in silicio, tra l’altro, durano tantissimo e dopo un funzionamento compreso tra 12 e 15 mesi hanno già restituito l’ energia necessaria a produrli.
L’autoproduzione e il nucleare marginale – Ma c’è un altro aspetto positivo in più che il docente mette in luce: “La scalabilità del fotovoltaico inoltre, “può fare da volano per la nascita di nuovi modi di produrre e distribuire energia. Gli impianti piccoli consentono di alleggerire la rete elettrica, consentendo di integrare meglio produzione e domande e stimolando l’autoconsumo”.
Ovviamente nel mercato elettrico futuro sarà sempre più importante considerare non solo quanta energia si produce ma soprattutto quando si mette a disposizione della rete, attraverso le tecnologie di accumulo, ovvero batterie che raccolgono l’energia fotovoltaica prodotta in eccesso durante il giorno , per poi restituirla nelle ore serali. “Sembra uno scenario futuristico, ma il futuro fa in fretta ad arrivare, basti pensare che in Cina ci sono abbastanza batterie da poter alimentare tutta la rete italiana, cioè 60 GW)”, chiosa l’autore.
Un’ultima riflessione è sul nucleare. Nel 2021 ha fornito alla rete 2.517 TWh, 2.552 nel 2023. Al momento ci sono 64 reattori in costruzione, che dovrebbero entrare in funzione entro il 2030 per una potenza complessiva di 72 GW, ma bisogna considerare che la maggior parte degli impianti dovrà essere dismesso, portando con sé il problema delle scorie. Quanto ai piccoli reattori modulari di cui parla tanta stampa generalista, “esistono solo sulla carta, o meglio nei computer”. Nonostante questo, conclude Ruggieri, “non sembrano esserci dubbi sul fatto che l’energia nucleare possa giocare un ruolo nella decarbonizzazione, ma con un ruolo secondario e defilato rispetto alle energie rinnovabili”.
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