Salute

Il mistero dell’esplosione sulla Seajewel, cosa sappiamo: due ordigni, l’armatore finito nella black list di Kiev e le altre 3 petroliere colpite


C’è un mistero al largo delle acque di Savona che intreccia i porti del Mediterraneo e sfiora la guerra tra Russia e Ucraina. L’esplosione a bordo della petroliera Seajewel, più va avanti l’indagine della procura di Genova, più assume i contorni di una vicenda che assomiglia molto alla trama di un romanzo di spionaggio. La vicenda è assai delicata perché si intreccia con equilibri e alleanze internazionali in uno dei momenti più instabili della geopolitica mondiale. A otto giorni dalla deflagrazione, l’indagine in mano al capo della Dda Nicola Piacente e della sostituta Monica Abbatecola – con in campo anche i reparti d’élite della Marina Militare – ha già diversi punti fermi. A iniziare da un capo d’accusa sostanziato dai primi accertamenti: naufragio con l’aggravante del terrorismo.

L’incidente
La notte del 14 febbraio, mentre era nel campo boa al largo del porto di Savona, la Seajewel ha subito un attentato. Sulla nave era stati piazzati due ordigni magnetici, incollati alla chiglia della petroliera arrivata poche ore prima dall’Algeria con il suo carico di petrolio. Secondo gli artificieri che hanno perlustrato la nave e i fondali, la prima bomba piazzata sulla nave è esplosa provocando uno squarcio di 70 centimetri per 120 con le lamiere rivolte verso l’interno. La defibrillazione ha fatto staccare un secondo esplosivo, a sua volta detonato sul fondale provocando una moria di pesci. I primi indizi avevano subito lasciato pensare a un evento doloso, i sommozzatori del Comsubin e gli altri esperti intervenuti sulla scena hanno confermato: qualcuno ha piazzato due congegni esplosivi sulla Seajewel – alcuni frammenti sono stati ritrovati e saranno analizzati – con l’intento di danneggiarla e rischiando di provocare un disastro ambientale, evitato grazie allo sgancio di una delle bombe e alla tenuta stagna dei contenitori all’interno dei quali era trasportato il carico.

L’inchiesta
Fin qui, le certezze. Il resto è una storia in evoluzione, con alcuni indizi. La procura di Genova è al lavoro per capire quando e chi ha piazzato le bombe. È stato un lavoro da esperti, su questo non ci sono dubbi. Resta in campo la pista che ipotizza la partenza della squadra di sabotatori a bordo di un gommone da un porto ligure vicino al campo di ormeggio della Seajewel. Gli investigatori della Digos stanno setacciando le telecamere per provare a iniziare a risalire la catena, sempre che l’aggancio dell’esplosivo sia avvenuto quando la Seajewel era già in acque italiane. Riuscire a colpire in Italia vorrebbe dire avere anche una rete di appoggi logistici nonché i mezzi poi per fuggire dal nostro territorio ed evitare le indagini. Gli inquirenti stanno anche considerando un secondo aspetto: la Seajewel, in passato, è stata accostata alla “flotta ombra” della Russia, ovvero le navi che continuerebbero a vendere in Europa il petrolio di Mosca, attraverso triangolazioni, nonostante le sanzioni imposte per l’invasione in Ucraina. Una vicenda che potrebbe rappresentare un movente.

Le altre navi
E la petroliera danneggiata a Savona non è l’unica ad aver subito danni negli ultimi mesi. Da gennaio a oggi sono altre tre le imbarcazioni che hanno avuto danneggiamenti sospetti. Tra queste imbarcazioni ci sono la Koala e la Grace Ferrum. Entrambe avevano fatto tappa a Ust-Luga, porto del Mar Baltico nel distretto di Kingiseppsky, vicino al confine con l’Estonia. La Koala è stata danneggiata proprio mentre si trovava all’ancora in Russia, lo scorso 9 febbraio. Come riporta Bloomberg, le autorità locali hanno descritto l’esplosione del Koala come un “incidente provocato dall’uomo”. La Grace Ferrum, invece, aveva lasciato Ust-Luga il 12 gennaio e l’incidente a bordo si è verificato quando la petroliera è arrivata nelle acque libiche qualche settimana dopo, a inizio febbraio. La terza petroliera danneggiata è la Seacharme, gemella della Seajewel e anch’essa a Savona in questi giorni.

L’armatore in black list
Ha subito danni a metà gennaio in acque turche mentre navigava verso Ceyhan. Quest’ultima petroliera era stata in Russia, a Novorossijsk, per l’ultima volta lo scorso 12 dicembre. Nello stesso porto aveva attraccato anche la Seajewel, ma un mese più tardi (16 gennaio). In entrambi i casi, le petroliere avevano fatto nuovi carichi di greggio prima delle esplosioni: difficilmente, insomma, trasportavano petrolio russo quando sono state colpite. Entrambe appartengono all’armatore greco Thenamaris. E qui spunta un’ulteriore dato di attenzione investigativa: insieme ad altre quattro compagnie greche, nel 2022, Thenamaris era stata inserita dall’Ucraina nella lista degli “sponsor internazionali di guerra” con l’accusa di contrabbandare petrolio di Mosca. Un posizionamento in “black list” che era poi stato rimosso circa un anno più tardi. Ma il fatto resta all’attenzione della procura che ha deciso di procedere anche all’analisi del greggio che la Seajewel aveva in pancia nella notte in cui ha subito l’attacco.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »