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Il Metodo Calvino: profezie e opposti della società contemporanea

Italo Calvino è stato un contemporaneo del futuro: le sue opere sono ricche di vaticini e profezie, dalla prevalenza del software sull’hardware all’avvento della macchina letteraria – esempio ante litteram di ChatGPT – dall’importanza della visione di insieme all’interdisciplinarità. Fin dall’inizio del lavoro sulla trilogia ci siamo però posti una domanda: cosa avremmo potuto aggiungere noi alla sterminata letteratura calviniana che appassiona e stimola continuamente il dibattito? In effetti un piccolo contributo era possibile: Calvino era spesso interrogato sul futuro. Ne è una riprova anche il titolo originale delle Lezioni Americane: Six Memos for the Next Millenium. Noi rappresentiamo i nipoti di Calvino. E in quanto tali abbiamo la possibilità di andare a verificare quando e perché si sono realizzate le sue profezie. Siamo partiti dalla rilettura delle Lezioni Americane: leggendole e rileggendole è emerso quello che abbiamo chiamato il “Metodo Calvino” che lavorando sugli opposti – ad esempio, la leggerezza e la gravosità, l’esattezza e la più vaga inesattezza, la parte ed il tutto – funge da passe-partout per decrittare ed interpretare la complessità dei fenomeni sociali. La realtà è prigioniera degli ossimori. Da appassionati lettori di Calvino ci siamo avvicinati al suo pensiero quali scienziati sociali desiderosi di guadagnare una prospettiva altra, una angolatura originale per interpretare fenomeni sociali attuali: le implicazioni dei cambiamenti tecnologici sul comportamento umano ed organizzativo, i nuovi modelli educativi, l’interfaccia uomo – macchina, e più in generale, l’innovazione, quale fenomeno socio-antropologico. Non è oggi esagero dire che abbiamo bisogno di dare forma a una nuova antropologia uomo-macchina.

Il “Metodo Calvino” è la chiave di lettura per comprendere un fenomeno di grande interesse l’innovazione: fatto di opposti, caratterizzato e generativo di profondi, velocissimi e rapidissimi cambiamenti. Nella lezione sulla Leggerezza, Calvino esorta a guadagnare prospettive distinte e distanti per innovare – come Cosimo Rondò di Piovasco che sale sull’albero e ricerca un punto di vista alternativo sul mondo. Seguendo la trilogia, ci siamo avvicinati al Visconte Dimezzato: l’essere a metà del visconte Medardo è una modalità per capire “cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi”. Secondo Calvino, quindi, è necessario conquistare parzialità per comprendere l’intero. La parzialità di una prospettiva ci permette di allargare lo sguardo per guadagnare la visione dell’intero. È la parzialità dell’essere umano vis-à-vis la macchina intelligente profetizzata in Cibernetica e Fantasmi: la macchina letteraria che scrive romanzi spinge Calvino a chiedersi cosa resta agli esseri umani, se le risposte diventano sempre più velocemente e precisamente appannaggio delle macchine: quali sono i tratti gelosamente umani?

Il Visconte Cibernetico esplora i margini tra domande umane e risposte cibernetiche per sottolineare l’importanza dell’ars dubitandi – tra ars interrogandi e ars respondendi. L’ars dubitandi è alla base della creatività – uno dei gelosi attributi degli esseri umani che, intesa come originalità combinatoria, si sostanzia nella ricerca della minimizzazione delle probabilità che quella combinazione sia stata già fatta. La creatività – gelosamente umana – si fonda quindi sul processo contrario a quello dell’Ai generativa che sviluppa invece risposte basate sulla ricerca della massimizzazione delle probabilità che due o più concetti – o puntini – siano stati già connessi.

Il Cavaliere Artificiale prende spunto da varie opere dello scrittore sanremese – dal Cavaliere Inesistente alla Memoria del Mondo, da Palomar agli Amori Difficili – per esplorare il paradosso delle tecnologie digitali: innovazioni invisibili, capaci di incidere profondamente e pervasivamente sulla nostra vita quotidiana, sul lavoro, sulla politica e persino sulla nostra percezione del reale.

Come Agilulfo, che esiste solo grazie alla sua armatura vuota, l’intelligenza artificiale vive in uno spazio virtuale, senza una presenza fisica tangibile. Ma ha bisogno (anche qui) del suo contraltare: il povero Gurdulù. Il primo non esiste ma sa di esserci. Il secondo esiste ma sembra non saperlo. Il dilemma dell’umanità di fronte all’Ai sarà quello di non finire come Gurdulù.


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