Ambiente

«Il mercato è il peggior modo di allocare le risorse. Ad eccezione di tutti gli altri»

«Quando ero un giovane professore associato di diritto commerciale, scrissi un articolo sostenendo l’opportunità di eliminare le regole sul capitale sociale. Un decano della mia materia la definì una tesi eversiva».

Siamo vicino alla Bocconi, alla Madonnina, uno dei posti dove si continua a mangiare cucina milanese. Luca Enriques, che per qualche mese insegna in Via Sarfatti, non ha nulla di eversivo. È un professore di Oxford, dove vive nello stesso isolato in cui abitava Tolkien, l’autore del Signore degli Anelli. È una delle menti giuridiche italiane più brillanti e con il miglior posizionamento internazionale. Il suo prossimo libro è Società costituite all’estero. Trasferimento della sede all’estero (con Federico Mucciarelli). È stato bambino e adolescente nella Bologna degli anni Settanta e Ottanta, ma non richiama in alcun modo la città eversiva e narcotica, eccitata e pericolosa degli Indiani Metropolitani, del Dams di Umberto Eco, del disegnatore Andrea Pazienza e dello scrittore Pier Vittorio Tondelli.

Luca ha la geometria e la strutturazione che derivano dall’appartenenza a una delle ultime famiglie borghesi del Novecento italiano, un tempo in cui la cultura e la politica, la cifra civile e l’impresa erano un tutt’uno: ci sono gli Enriques di Bologna, come ci sono stati i Pirelli di Milano, gli Agnelli di Torino, i Costa di Genova. Oggi proprietari della casa editrice Zanichelli. Ieri protagonisti di una vita famigliare da romanzo classico fra Giorgio Bassani (ma senza tragedie individuali) ed Elsa Morante (ma senza concupiscenza estetica ed emotiva verso il popolo). Con un bisnonno come Federigo – matematico, le “superfici di Enriques” sono sistemi di equazioni oggi usate per le stampanti a tre dimensioni – e un nonno come Giovanni, ingegnere e dirigente industriale alla Olivetti di Adriano, amico di Italo Calvino e di Guido Piovene, oltre che dei ragazzi di Via Panisperna Franco Rasetti e Emilio Segrè.

Di antipasto lui prende una tartare di manzo con tuorlo di quaglia. Io, invece, scelgo della salsiccia di Bra su crostone di pane. Nessuno dei due beve vino. Soltanto acqua gassata. Di sicuro, in un Paese come l’Italia a forte matrice cattolica e ad altrettanto intensa intonazione statalista nella doppia versione post-comunista e post-fascista, Enriques è eversivo perché appartiene a una fra le più piccole delle minoranze: i pro mercato. «Il mercato è il peggior modo di allocare le risorse. Ad eccezione di tutti gli altri», afferma rimodellando il vecchio detto churchilliano sulla democrazia. E aggiunge: «La crisi del 2008 nasce nelle banche perché le banche erano sottoposte a un mix tossico di Stato e mercato».

Scopri di più

Scopri di più

Al Galvani di Bologna – liceo di destra, buona borghesia cattolica e repubblicana, biciclette per andare a scuola – Enriques militava nella sinistra indipendente: «Non ho mai avuto la tessera del Pci. Leggevamo Norberto Bobbio. Dicevamo, con un certo atteggiamento, di essere lib-lab. Collaboravamo con la Fgci. Ma non eravamo comunisti. Al liceo avevo grande passione politica. All’università è stata naturale la scelta di giurisprudenza, a Bologna. Ho sempre creduto nella crasi fra politica e diritto. Il diritto è il precipitato delle scelte politiche. È una finzione che l’interprete del diritto e il magistrato siano neutrali politicamente».


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »