“Il mare non fa rumore”: il nuovo film del regista calabrese Marco Martire
Il regista e produttore calabrese Marco Martire presenta il nuovo film “Il mare non fa rumore”. Attraverso disabilità acustica, fragilità nascoste e invisibilità sociale, Martire costruisce un ponte tra dolore e resilienza. Nella nostra intervista, ci conduce dentro il suo mare interiore, tra passioni, ricordi e la missione incessante di raccontare l’umanità con tutto il suo fragore silenzioso.
COSENZA – Tra le onde silenziose del cinema italiano, Marco Martire, regista e produttore calabrese, emerge come una voce capace di illuminare ferite intime e sociali spesso trascurate. Dopo il successo di “Esisto ma non vivo”, il suo nuovo film “Il mare non fa rumore” non racconta soltanto una storia: è un invito a osservare ciò che spesso rimane invisibile, a sentire ciò che si percepisce solo nel silenzio. Attraverso disabilità acustica, fragilità nascoste e invisibilità sociale, Martire costruisce un ponte tra dolore e resilienza, tra perdita e rinascita. Il suo cinema è un mare agitato: caotico e profondo, ma capace di accendere coscienze, generare empatia e restituire voce a chi spesso non viene ascoltato. Ogni scena, ogni inquadratura, ogni respiro sonoro trasforma il silenzio in forza creativa, le ferite in narrazione universale, e trova nel mare la sua metafora più potente. È una pellicola che nasce da incontri decisivi e testimonianze reali. Nella nostra intervista, Marco Martire ci conduce dentro il suo mare interiore, tra passioni, ricordi, empatia e quella missione incessante di raccontare l’umanità, con tutto il suo fragore silenzioso.
Marco Martire, “Il mare non fa rumore” arriva dopo il successo di “Esisto ma non vivo”. Da dove nasce l’idea di questo nuovo film? C’è stato un momento preciso, un’immagine o un incontro che l’ha spinta a raccontare questa storia?
«Quando presentammo “Esisto ma non vivo”, il 18 aprile 2023, tra il pubblico c’era Francesca Maio. Dopo aver visto il film e il modo in cui avevamo affrontato il tema della sessualità legata alla disabilità — con crudezza, ironia e sincerità — mi propose di raccontare la sua storia. Francesca convive con diverse patologie considerate “invisibili” dal sistema sanitario, come la fibromialgia e la cefalea cronica farmacoresistente, e vive anche una condizione di disabilità uditiva. Da quel confronto è nata l’idea di “Il mare non fa rumore”, un progetto che amplia lo sguardo verso altre forme di disabilità, anche motorie, e che nasce dal desiderio di dare voce a chi spesso non viene ascoltato».
Il titolo porta con sé una grande forza poetica: evoca quiete, ma anche profondità, segreti, tempeste interiori. Qual è il “mare” che abita dentro di lei?
«È una domanda complessa, perché quel “mare” dentro di me è tutt’altro che calmo. È un mare agitato, caotico, fatto di obiettivi, sogni e responsabilità. Rappresenta la mia missione di vita: dare voce, attraverso il cinema, a tematiche sociali spesso ignorate. Tutto è iniziato nel 2014, quando ho intrapreso il mio percorso da attore e ho imparato a conoscere il linguaggio del set. Poi, nel 2020, con la fondazione della mia casa di produzione “Creatività automatica”, ho compreso davvero cosa significhi “fare produzione”: coordinare, creare, costruire un’opera partendo da un’idea fino alla sua realizzazione. In questo ruolo da supervisore c’è un continuo movimento di pensieri, di energie, di visioni. È un mare che non conosce quiete, ma che mi spinge avanti. Nulla potrà fermare questo treno, perché quel mare – pur agitato – è la mia forza vitale».
«L’originalità del progetto nasce dal suo fondamento reale: la testimonianza diretta di Francesca Maio. Non c’è nulla di inventato o idealizzato, tutto parte dalla sua esperienza vissuta. Questo ci ha permesso di restituire autenticità alla narrazione. Il mare, nel film, è un elemento centrale. È attraverso il mare che abbiamo cercato di tradurre il “rumore del silenzio”».
Maria, la protagonista, rappresenta tante persone che vivono nel silenzio delle proprie patologie. Se il suo film potesse parlare, cosa direbbe a chi si sente invisibile?
«Direbbe che non sei solo. Che c’è qualcuno che vede la tua invisibilità e che non resta indifferente. Direbbe che esiste sempre qualcuno capace di ascoltare anche il tuo silenzio».
Nel film, la scuola diventa un microcosmo dove emergono bullismo, indifferenza, fragilità. È una metafora della nostra società contemporanea?
«Assolutamente sì! Ogni mio progetto è, in una certa misura, una rappresentazione di questa società di cui sono osservatore».
Eppure, tra le crepe, si intravedono gesti di umanità, piccole scintille di empatia. Crede ancora nel potere dell’empatia? E cosa accade, a suo parere, quando il dolore riesce finalmente ad essere riconosciuto?
«Credo che l’empatia e i principi ad essa legati siano sempre più rari, ma quando riusciamo a manifestarli – attraverso gesti di altruismo e attenzione verso gli altri – entriamo in contatto con l’unica sorgente che ci rappresenta davvero: la nostra umanità. Con le mie opere cerco di portare alla luce questi valori al fine di proiettarci verso un mondo migliore».
Ci sono state scene particolarmente difficili o emotivamente intense da girare?
«Sì, diverse. Ma, perseverando, siamo sempre riusciti a raggiungere ciò che ci eravamo prefissati».
Qual è, per lei, l’immagine che racchiude l’anima del film?
«Non posso spoilerare la scena per intero, perché non è ancora stata pubblicata. Posso dire però che c’è un momento in cui la co-protagonista, Cleopatra, parla di sua madre, che non c’è più, e di come abbia ereditato da lei la passione per la musica. Mi rispecchio molto in questa storia, perché anche io ho perso mia madre quando avevo tre anni. Era una musicista, e non ha potuto vivere la sua esibizione più importante. Questa scena mi emoziona particolarmente».
Ha una passione per il pianoforte, dico bene?
«Esatto! Lo suono da autodidatta e spero, un giorno, di potermi dedicare al pianoforte come vorrei. È il mio piccolo omaggio a lei».
«Il trailer è la prova che sacrificio e duro lavoro possono davvero ripagare. Ho investito molto nella sua realizzazione e il riscontro del pubblico ha superato le aspettative: ho visto un coinvolgimento concreto, curiosità e tanti apprezzamenti. Questo mi sprona a continuare a lavorare con la stessa intensità. Non sto nella pelle all’idea della pubblicazione del film!».
«Sì, credo di sì. Per affrontare certe tematiche è importante essere diretti, crudi e realistici, ma al contempo inserire un velo di ironia, per mantenere un tono che non risulti troppo pesante e permetta al pubblico di ascoltare davvero».
Con “Esisto ma non vivo” e “Il mare non fa rumore”, ogni suo film sembra nascere da una ferita, ma anche da un desiderio di cura. Dove la sta portando questa ricerca?
«Questa ricerca sta forgiando il mio carattere e il mio modo di relazionarmi con gli altri. Ogni volta che faccio del bene per qualcuno, si accende qualcosa dentro di me. Mi ha reso più consapevole delle diverse sfumature sociali in cui tutti noi possiamo trovarci, permettendomi di osservare il mondo con occhi diversi e più attenti».
Marco Martire, può darci qualche anticipazione sulla data di uscita del film “Il mare non fa rumore”?
«Non posso confermare la data con certezza, ma puntiamo al 3 dicembre, in occasione della Giornata mondiale sulla Disabilità. Se non sarà possibile, il film uscirà all’inizio del prossimo anno».
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