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Il ginnasta Lorenzo Bonicelli: «In me c’è un grande mix di tristezza, rabbia, all’inizio c’era anche del rimorso. Mi chiedo sempre il perché di quell’errore agli anelli»

Era il 23 luglio. A Essen, in Germania, erano in corso le Universiadi. Lorenzo Bonicelli, 23 anni, era fra gli atleti italiani in gara per la ginnastica artistica. La caduta nel triplo salto mortale in uscita agli anelli gli ha provocato il trauma distorsivo cervicale con sublussazione della quinta vertebra. Coma farmacologico, l’operazione al collo, il risveglio, l’immobilità. Il Corriere della Sera intervista l’atleta azzurro che si trova all’Unità Spinale Unipolare dell’Ospedale Niguarda. «Oggi ho lavorato tanto», racconta, «Sono rimasto un atleta, è la mia indole, dico ai terapisti: fatemi lavorare, non tenetemi in gabbia. Il risultato è che mi hanno riempito il programma giornaliero, la sera torno in camera distrutto».

Il lavoro è sulla parte alta, le braccia. «Il primo obiettivo è cercare di mantenere l’equilibrio da seduto. Sembra semplice ma per soggetti come me, con un po’ di muscoli che funzionano e altri no, è più complicato. L’equilibrio è essenziale, senza avere bisogno di uno schienale che mi tenga su. Adesso sono sulla carrozzina elettronica perché purtroppo al mio percorso clinico si sono aggiunte le lesioni da decubito. Le piaghe fanno molto male, mi hanno spiegato che è una cosa fisiologica nella mia condizione».

Sa che è un percorso lungo. Un mese fa ha potuto provare la carrozzina a spinta, manovrandola con le braccia perché non può usare le mani. Fa due sessioni di terapia al giorno e nel mezzo la palestra con i pesi. «Ho iniziato un programma di introduzione allo sport paralimpico, ho provato il tiro a segno con la carabina e mi gasa tantissimo. Mi è venuta l’acquolina in bocca di volerne sperimentare altri. A gennaio verrà inaugurata la piscina nuova, non vedo l’ora. Un giorno proverò anche l’handbike visto che mi vanno le braccia».

Ringrazia tutti quelli che lo stanno sostenendo dallo staff dell’ospedale alla federazione, dalla famiglia alla sua società fino ai tanti che gli hanno scritto sui social. «All’inizio non volevo vedere nessuno al di fuori dei genitori, delle sorelle e della mia fidanzata Lisa. Ero categorico, zero visite, preferivo isolarmi. Poi ho capito che avevo bisogno di vedere i miei amici. Ora vengono a trovarmi e mi piace vedere che nessuno di loro ha cambiato approccio nei miei confronti. Io sono il Lorenzo di sempre anche se con una diversa mobilità del corpo». La domenica ci sono gli amici che guardano con lui lo sport in tv il momento più difficile è la sera, prima di chiudere gli occhi. Parlarne fa parte dell’allenamento. «È un grande mix di tristezza, rabbia, all’inizio c’era anche del rimorso. Miliardi di dubbi e domande. C’è la paura. Nella mente ho immagini di me, visioni del passato, visioni che vanno anche in là nel mio futuro…Mi chiedo in cosa ho sbagliato, perché è andata male. Interrogativi troppo grandi, una risposta non l’avrò mai. Tante volte il pensiero va alla mia famiglia, a come il mio incidente abbia cambiato inevitabilmente anche la loro vita. Ha presente la sensazione di quando si sta male per qualcuno? Io ce l’ho, non lo nascondo. Sono sempre stato un sognatore con grandissime ambizioni, non solo come atleta. Adesso mi concentro sul vivere giorno per giorno, proprio per non sobbarcarmi di troppe cose. Però non mi sento a corto di sogni, devo solo trovarli».


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