Economia

Il futuro dell’energia: i tre scenari di Shell

Quale sarà il futuro dell’energia in un mondo segnato da crisi, tensioni geopolitiche e accelerazioni tecnologiche? Per orientarsi, Shell ha immaginato tre scenari raccolti nel nuovo rapporto Energy Security Scenarios 2025 e li ha chiamati Surge, Archipelagos e Horizon. Non previsioni, ma strumenti analitici per esplorare come il sistema energetico globale potrebbe evolvere e quali decisioni potrebbero determinarne il corso. A raccontarne implicazioni e significati è Peter Wood, chief energy advisor di Shell e vice president, strategist scenario.

“Lo scenario Surge intravede la possibilità di una nuova fase di crescita economica, trainata da un aumento della produttività grazie all’intelligenza artificiale (IA). Archipelagos mostra un mondo frammentato, dove lo sviluppo tecnologico è frenato da sovranità energetica, sicurezza dei confini e tensioni commerciali. Horizon adotta un approccio normativo per delineare le azioni necessarie su scala globale per azzerare le emissioni nette di CO2 al 2050 e contenere l’aumento della temperatura entro 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali, entro fine secolo”. È lo scenario Archipelagos quello che più somiglia al presente: “Qui la collaborazione internazionale si indebolisce, prevalgono gli interessi nazionali, si affermano nuove barriere”, osserva Wood. In questo contesto frammentato, anche la diffusione delle tecnologie rallenta, minando l’efficacia della transizione. “Un esempio emblematico è il fotovoltaico: nato in Europa grazie a forti investimenti pubblici in ricerca, ma diventato competitivo solo grazie alla capacità della Cina di produrlo su vasta scala, abbattendo i costi. In un mondo meno cooperativo, è meno scontato che filiere globali di questo tipo possano ripetersi.”

Grafico a cura di Silvano Di Meo

Grafico a cura di Silvano Di Meo 

Secondo Wood, le prospettive energetiche non sono lineari. Anche nello scenario più virtuoso, Horizon, è probabile un temporaneo sforamento climatico. E mentre la domanda di petrolio non cala, la trasformazione energetica rischia di scontrarsi con un paradosso: “Non si può trasformare il capitalismo senza capitale. La decarbonizzazione richiede fiducia, sicurezza, crescita economica”. Il futuro ruota attorno all’IA. “Avrà un impatto profondo sulla società e sull’energia: automatizzando interi processi a costi più bassi, aumenterà la produttività e potrà accelerare soluzioni energetiche. Ma avrà anche conseguenze: molti lavori spariranno, altri nasceranno. È una trasformazione sistemica. E senza crescita economica, non si possono sostenere i costi sociali della transizione”.

Nel mondo Surge, l’IA diventa un potente motore di sviluppo. Il net zero slitta al 2080 e la temperatura globale si stabilizza solo attorno ai 2°C entro fine secolo. “È il prezzo di un approccio che privilegia la crescita a scapito del clima”, dice Wood. Al contrario, “Horizon richiede politiche forti, cooperazione internazionale e un salto collettivo nella decarbonizzazione”. La realtà, però, richiama ancora una volta lo scenario Archipelagos, dove la sicurezza e la sovranità energetica prevalgono sulla cooperazione. “Se il sistema internazionale si chiude, anche la transizione rallenta. Le forniture energetiche attraversano i confini, così come la conoscenza. Senza collaborazione, si crea instabilità”. E poi c’è la Cina, dominatrice delle catene di fornitura per tecnologie chiave come batterie, magneti e motori elettrici. “Non tutti i Paesi vorranno dipendere da Pechino – osserva Wood – Ad esempio, l’Italia ha una manifattura forte, e vorrà difendere la propria capacità produttiva. Vale per noi come per la Germania”. Molto dipenderà anche da cosa faranno i Paesi emergenti: “Due terzi della popolazione mondiale vive in Africa, India e America Latina. Se adotteranno la transizione come hanno fatto con i cellulari – saltando intere fasi e passando direttamente al solare e alle mini-reti – allora il mondo potrà cambiare davvero”.

Grafico a cura di Silvano Di Meo

Grafico a cura di Silvano Di Meo 

Wood insiste: “Spesso nei dibattiti, le economie emergenti vengono considerate poco. Sbagliando, perché è in questi Paesi che si gioca il futuro. Serve un’alleanza globale che metta a disposizione conoscenza, capitale e tecnologie anche per chi oggi non può permettersele”. E aggiunge: “Anche il sistema educativo ha un ruolo centrale. Servono nuove competenze oggi. Dall’ingegneria dei sistemi all’economia dell’energia, dobbiamo formare figure capaci di guidare la transizione”. Non basta puntare sulle tecnologie: “L’innovazione è anche istituzionale, sociale, politica. Serve una nuova generazione di policymaker e imprenditori capaci di navigare l’incertezza e costruire fiducia. Perché senza fiducia non c’è investimento. E senza investimento, la transizione si arena”.

Wood conclude con un appello: “Non possiamo più aspettare che il sistema si aggiusti da solo. Anche nello scenario più positivo è probabile un overshooting, cioè un superamento temporaneo dei limiti climatici, prima di riportare le temperature sotto controllo. Per questo dobbiamo investire sia nella mitigazione riducendo le emissioni, sia nell’adattamento rafforzando la resilienza dei territori e delle comunità. Ogni trasformazione comincia con una decisione”. E l’Italia? “Possiede capitale umano, industria, creatività. Se questi elementi saranno accompagnati da una strategia coerente e investimenti mirati, potrà essere protagonista. Senza azione concreta, tutto resta teoria”.


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