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Il dietrofront di Donald prende di mira lo Zar. La scure su chi fa affari con lui può affossarlo

Armi all’Ucraina, sanzioni alla Russia. Con l’ennesima capriola della sua presidenza Donald Trump ribalta completamente le proprie posizioni sull’Ucraina e su un possibile negoziato. E così Volodymyr Zelensky, l’alleato che sembrava caduto in disgrazia, torna ad essere l’uomo da proteggere e armare. Vladimir Putin, il presidente con cui il tycoon era convinto di poter dialogare retrocede nuovamente, invece, al ruolo di principale responsabile della guerra colpevole peraltro, dice Trump, di raccontare un sacco di «str…ate».

Ma la capriola, oltre a riportare l’America sulle posizioni dell’era Biden rischia di aver ripercussioni pesanti sul fronte interno. Trump infatti scarica sul Segretario alla Difesa Peter Hegseth la decisione di tagliare le forniture di armamenti a Kiev e si dice pronto a incrementare il sostegno militare all’alleato mettendogli a disposizione 30 batterie di Patriot e 252 missili terra-terra a lunga gittata. Tutta roba che il Pentagono sosteneva di non poter spostare pena l’assottigliamento degli arsenali strategici. Ma la svolta più cruciale riguarda le cosiddette sanzioni secondarie o indirette. Si tratta di sanzioni destinate a colpire non la Russia, ma tutte quelle nazioni, come la Turchia e l’India, che in questi anni si sono prestate a fungere da piattaforme per la triangolazione e le esportazioni del petrolio e delle materie prime russe sottoposte a sanzioni. La minaccia non è certo una novità. Trump la agita sin da quando, lo scorso maggio, incomincio a percepire la scarsa disponibilità di Putin al negoziato. Ma stavolta il presidente Usa sembra deciso a «punire» la scarsa «riconoscenza» di un capo del Cremlino convinto di poter chiudere la guerra con una vittoria sul campo e pronto, in quest’ottica, a rifiutare non solo il negoziato, ma anche il ritorno al ruolo di legittimo protagonista della scena internazionale offertogli da The Donald.

Da questo punto vista l’azzardo di Putin non è di poco conto. Le sanzioni secondarie rischiano di privare la Russia di un flusso di dollari fondamentale per sostenere l’economia di guerra. Quell’economia, pur garantendo lavoro alla popolazione e armamenti all’esercito, resta un circolo chiuso che drena il 6 per cento del prodotto interno lordo senza garantire proventi esteri. Dunque il prolungamento «sine die» della guerra unito alla mancanza di valuta pesante rischia di portare il Paese alla recessione. Ma non solo. Senza dollari è anche difficile acquisire i microchip e le componenti elettroniche indispensabile per gli assemblare gli armamenti più evoluti. Dunque l’intero processo commerciale e finanziario che ha garantito la resilienza della Russia e disinnescato l’effetto sanzioni rischia di venir messo a dura prova dalle sanzioni secondarie minacciate da Donald Trump.

Ma l’azzardo non riguarda solo Putin. Una Russia completamente estromessa dai mercati internazionali diventerebbe ancor più dipendente da Pechino.

E questo consentirebbe al Dragone di accedere a costi ancora inferiori alle smisurate risorse russe. Concretizzando il sogno di uno Xi Jinping deciso a trasformare la Cina nella prima grande potenza mondiale. Esattamente quello che Trump diceva di voler impedire negoziando la pace tra Mosca e Kiev.


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