Il Culturista: Lotta con classe, Clemen Parrocchetti e le sue rivendicazioni gioiose
Questo articolo è pubblicato sul numero 45 di Vanity Fair in edicola fino al 4 novembre 2025.
«Non voglio più essere sfogliata, non voglio più che mi si strappino le ali. Le rivoglio tutte, vibranti di luci e suoni per volare». Così scriveva Clemen Parrocchetti (Firenze, Palazzo Medici Riccardi, fino al 6/1/2026. Sopra, l’opera A proposito di un certo pranzo con croci, gioielli e fiori) negli anni della rivoluzione culturale del ’68.
Se anche i maschi avessero avuto la stessa leggerezza di pensiero e immaginazione forse non si sarebbe sprofondati negli anni di piombo.
Clemen Parrocchetti è una di quei gioielli nascosti negli anfratti della creatività italiana degli anni ’60 e ’70 penalizzata da un’atmosfera politica che non concedeva all’impegno di giocare, divertirsi, sognare. Lei voleva intrecciare l’identità femminile e le rivendicazioni della donna con la possibilità di essere gioiosa. Prediligeva la risata alla rabbia, lo scherzo pieno di contenuto all’insulto fine a sé stesso.
Aristocratica milanese, più che dedicarsi alla lotta di classe preferiva lottare con classe. A vederla aveva il piglio di Franca Valeri, indipendente e irriverente, elegante e intrigante. La sua arte era soffice e spinosa al tempo stesso. Prendendo in prestito stereotipi e simboli della femminilità li trasformava in qualcosa di sensuale e gioviale. Parlava della violenza contro le donne con la triste attualità dei nostri giorni, ma mezzo secolo prima. Usava ago e filo non per imbastire una gonna, ma per imbastire un discorso sulle ferite subite che ogni donna deve ricucire con il filo del proprio carattere.
Usava il privilegio sociale come campo di battaglia dove metteva in gioco le proprie frustrazioni come trappole per la prepotenza maschile, anche se nascosta dentro un eskimo. Tutt’altro che casalinga e tanto meno di Voghera, era la guerrigliera di Brera.
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