Società

Il Culturista: I cowboy sovversivi nelle foto di Mohamed Bourouissa

Questo articolo è pubblicato sul numero 28-29 di Vanity Fair in edicola fino al 15 luglio 2025.

Non c’è simbolo più americano e politicamente scorretto del cowboy. John Wayne, in Sentieri selvaggi, impersona l’eroe razzista alla conquista del West.

Immaginare cowboy che non siano maschi alfa bianchi e violenti è complicato. Eppure, da più di un secolo, il Fletcher Street Urban Riding Club di Philadelphia offre l’opportunità alla comunità afroamericana, economicamente e socialmente svantaggiata, di cavalcare cavalli, sottratti di solito a un destino da mortadella, e imparare a diventare cowboy.

Il fotografo franco-algerino Mohamed Bourouissa (Bologna, Mast, fino al 28/9) ha creato un progetto attorno a questa comunità inventandosi anche un Horse Day, dove i cavalieri gareggiano a chi s’inventa la montatura più artistica per il proprio destriero.

Da sempre il lavoro di questo artista è focalizzato su realtà problematiche. I suoi racconti visivi sono testimonianze essenziali per non dimenticare le periferie del mondo, veri e propri incubatori di nuove identità sociali e di prevedibili ma improvvise esplosioni di malessere.

Per i giovani di Philadelphia i cavalli, animali da sempre simbolo di aristocrazia e potere, sono invece uno strumento per rafforzare la propria identità, un modo per sovvertire gli stereotipi.

Bourouissa ribalta la simbologia convenzionale del cavaliere solitario. Eroi di un dio minore con i propri ronzini vestiti a festa, obbligano il vecchio eroe, violento e convinto che il proprio compito sia quello di eliminare ogni minoranza che intralci le sue conquiste, a scendere di sella e andare a piedi. Obiettivo che, visti i venti trumpiani che soffiano per spegnere il fuoco sotto il crogiolo multietnico, fondamenta della democrazia americana, possiamo condividere senza timore.

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