Il Cirque du Soleil si racconta a Trieste, la vita dietro le quinte del circo più grande al mondo
24.06.2025 – 19.30 – Qual è la vita dietro lo stage e gli applausi e le piroette del Cirque du Soleil? Come si svolge, giorno dopo giorno, la vita di un moderno circo? In via eccezione oggi, martedì 24 giugno, il Cirque du Soleil ha aperto le sue porte, concedendo alla stampa uno sguardo a questo mondo nascosto.
Il primo approccio, giungendo dall’esterno, è di un accampamento nomade: le tante tende disegnano l’immagine di una cittadella autosufficiente, le sagome bianche ricordano le yurta della Mongolia. Il tendone principale espone le bandiere dei paesi visitati e l’anfitrione del giorno, l’attaché del Cirque Francis Jalbert, spiega che sono in totale venticinque nazioni e che la prossima tappa, dopo Trieste, sarà una città lungo la costa del Belgio e infine il cuore dell’Europa, Bruxelles.
Il primo ambiente che si presenta è una piccola palestra dove gli atleti fanno stretching, riscaldano i muscoli e si mantengono in attività. Il Cirque du Soleil prevede tra i 9 e i 10 spettacoli in una sola settimana, pertanto non c’è necessità di fare allenamenti intensivi; in generale il lunedì corrisponde al giorno di riposo e la settimana restante è tutta dedicata agli spettacoli. In un angolo a destra, ecco un angolo relax: c’è chi legge, chi guarda il cellulare disteso su un divano. I due schermi presenti trasmettono rispettivamente live lo spettacolo e poi la registrazione dello stesso: l’atleta scende dal palco e poi guarda la performance onde vedere cosa migliorare, cosa ha sbagliato, in maniera simile ai grandi sportivi professionisti.
Un’altra sezione della tende è invece riservata ai due fisioterapisti in forze al circo; quando questo giunge in una città vengono affiancati da una vasta gamma di massaggiatori e fisioterapisti che seguono passo per passo l’intenso sforzo fisico a cui i ginnasti vengono sottoposti.
Ancora più avanti, dietro le tende, ecco i diversi camerini: il circo prepara, ai nuovi venuti, apposite guide nella lingua madre passo per passo dove spiegano all’artista come truccarsi. Di solito, spiega Jalbert, impiegano durante i primi tentativi tre ore, poi il tempo, comunque considerevole, si riduce a 45 minuti. Si tratta di maschere molto elaborate, ricche di colori e brillantini.
Un’altra area dall’importanza fondamentale è infine la sartoria: qui lavorano in media 4 sarte assunte in pianta stabile e altre 6 assunte per la durata dello spettacolo. I costumi, creati appositamente per lo spettacolo, vengono lavati, rammendati e stirati ogni giorno. Quando l’artista viene assunto dal circo, spiega l’attaché, deve recarsi con un aereo pagato dalla compagnia a Montreal dove gli vengono prese le misure: i vestiti sono infatti realizzati ad hoc e a ciascuno viene allegato un codice a barre per associarlo a quell’artista e quel preciso spettacolo. Quando il circo si sposta, i vestiti vengono caricati su un aereo e spediti direttamente sul luogo. Impressiona come l’intero costume sia spettacolare, quasi una trasposizione fantasy, eppure molto funzionale: le scarpe decorate coi ponpon sono in realtà ergonomiche, l’ossatura è quella delle scarpe da ginnastica.
Ed ecco poi presentarsi, dopo il buio del dietro le quinte, il palcoscenico: alcuni trapezisti si stanno esercitando sopra la rete di protezione, coi corpi protesi nel vuoto e un gioco di ombre sul soffitto.
Rachel Lancaster, direttrice artistica del Circo, spiega come i circhi, onde restare attuali, “devono cambiare continuamente, come la danza e l’arte moderna devono re inventarsi, altrimenti perdono la propria anima”.
“Alegría è un esempio di tutto ciò – spiega Rachel – risale al 1994 ed è uno degli spettacoli del circo di maggior successo, è iconico. Volevamo riportare Alegría e renderlo però attuale per il pubblico odierno. Ma non abbiamo però neanche perso l’essenza, le fondamenta del suo successo”.
Quali sono invece le difficoltà economiche? “Le maggiori sfide sono i costi: spostare un gran numero di persone costa parecchio e dopo la pandemia è diventato molto più difficile e costoso”.
Dandino Tuniziani è invece un artista circense spagnolo di lungo corso, tecnicamente un trapezista ‘catcher‘, il cui ruolo è di cogliere il ginnasta quando si protende nel vuoto.
“Ogni spettacolo è al 100% uguale, questa è la difficoltà maggiore; per me non è un lavoro, ma una passione – spiega Tuniziani – Io ho iniziato questo lavoro quando avevo 12 anni, adesso ne ho 50; sono la terza generazione di una famiglia che ha sempre lavorato nel circo. Dopo aver lavorato col trapezio volante in tutto il mondo (eravamo in Italia nel 2005), io e la mia formazione abbiamo vinto il Festival del Circo di Montecarlo, primo premio assoluto; e allora il Cirque du Soleil ci ha ingaggiato per Alegría”.
Ma che cos’è cambiato nei circhi, durante trent’anni di carriera? “Tecnicamente è cambiato tantissimo, a livello di audio e luci; la voglia di stupire e intrattenere rimane però la stessa”.
È invece di casa il triestino Davide Comuzzi, esperto tecnico delle luci: il background, spiega, proviene dal Politeama Rossetti dove gestiva gli spettacoli itineranti. Naturale allora passare a un teatro ‘nomade’ quale il Cirque du Soleil.
“Sono molto attenti all’aspetto ambientale – spiega – le luci sono a led e, laddove possibile, preferiscono non usare i generatori a gasolio altrimenti parte della dotazione. Il rapporto tra artisti e tecnici qui è fortissimo, è come essere all’interno di una grande famiglia: dopotutto l’artista viene illuminato proprio dal tecnico delle luci, siamo noi a evidenziarlo al pubblico”.
Tra ginnasti, artisti circensi e tecnici predominava in generale una certa soddisfazione per il luogo: se le grandi città di solito inseriscono il circo nella profonda periferia, in questo caso la scelta di essere a fianco del Silos ha garantito al Cirque du Soleil una vicinanza alla città inedita e molto apprezzata dagli artisti.
[z.s.]