Abruzzo

il caso finisce in tribunale


Una famiglia di origine anglosassone ha scelto di crescere i propri tre figli in un terreno isolato nel Vastese, lontano dalla società, senza scuola, elettricità, acqua corrente o servizi igienici. La loro scelta, definita dagli stessi genitori come “consapevole e alternativa”, è però ora al centro di un procedimento giudiziario avviato dalla procura per i minorenni dell’Aquila, che ha chiesto l’affidamento dei bambini e la restrizione della responsabilità genitoriale.

Tutto è cominciato nell’ottobre 2024, quando l’intera famiglia è stata ricoverata per un’intossicazione da funghi. Durante l’intervento dei carabinieri, è emersa la condizione di estremo isolamento in cui vivevano: una casa fatiscente, una roulotte adattata a dimora e un bagno a secco all’esterno. La segnalazione ha portato i servizi sociali ad attivarsi e, da quel momento, si è aperta un’indagine approfondita.

I tecnici incaricati, in un accesso non annunciato, hanno rilevato la presenza di strutture non agibili, assenza di servizi essenziali e un contesto abitativo non ritenuto adatto alla crescita dei minori. Il rapporto ha messo in luce anche la mancanza di relazioni con il mondo esterno: i fratellini, di sei e otto anni, non frequentano la scuola e non hanno contatti con altri bambini.

La situazione ha portato a un ricorso d’urgenza depositato in aprile: il tribunale per i minorenni dovrà ora decidere se collocarli in una comunità protetta. Dopo una prima udienza, le autorità hanno tentato un nuovo contatto con la famiglia, che nel frattempo si era resa irreperibile. La diffidenza nei confronti delle istituzioni è tale da aver reso necessario un secondo sopralluogo con i carabinieri.

La versione della famiglia: “Scelta culturale, non degrado”

A difendere i genitori è l’avvocato Giovanni Angelucci, che ribalta l’intera impostazione accusatoria. Secondo il legale, non si tratta di incuria o abbandono, ma di una filosofia educativa precisa. I due genitori – il padre britannico, la madre australiana – hanno alle spalle un vissuto cosmopolita e hanno scelto consapevolmente di crescere i figli a contatto diretto con la natura, in un contesto ritenuto più sano e autentico.

«Non c’è alcuna situazione di pericolo, i bambini sono sani, seguiti da una pediatra e ricevono istruzione in forma parentale», afferma l’avvocato, che richiama il pensiero del “buon selvaggio” di Rousseau come chiave di lettura di questa vicenda. Una visione in cui la civiltà viene vista come fonte di corruzione e il ritorno alla natura come forma di purezza e libertà.

Secondo la difesa, l’intervento della giustizia sarebbe frutto di una serie di circostanze sfortunate, e non rifletterebbe alcun reale stato di abbandono. Dopo mesi di controlli, l’avvocato chiede l’archiviazione del caso, sottolineando che la famiglia non ha mai fatto ricorso a sussidi pubblici e conduce una vita sostenibile in autonomia economica.


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