il cantautore è come Petrarca e vi spieghiamo perché
Comunque alla fine Coez è come Petrarca. Se non nella resa, nelle intenzioni. Assago, 1 dicembre: “Ora vi faccio sentire una canzone che è stata giustamente scartata a Sanremo Giovani, ma che ha avuto comunque un suo percorso. Perché alla fine, una volta che escono, le canzoni fanno un po’ quello che vogliono e non le controlliamo mica tanto”. La canzone è “Chiama me” e con Petrarca non c’entra nulla. Ma quel concetto, sì: lo ha espresso in più punti del Canzoniere e, chi ha reminiscenze scolastiche, probabilmente se lo ricorda. La cosa più straordinaria? Al concerto milanese di Coez (che, per la cronaca, ha fatto sold out al primo giorno e ci è vicino per il secondo) quelle reminiscenze le avranno avute in tanti.
“Siete giovani”, ha gridato a una certa lui dal palco. “Ora andiamo dai più vecchi”, ride. Probabilmente (anzi, sicuramente), dal palco l’età non la vedeva: troppe luci, troppo casino. Ma le voci le sentiva e alla fine il pubblico le ha cantate quasi tutte. Quelle più vecchie e quelle più recenti. E quindi, l’ha capito: non c’erano solo ragazzini, che Petrarca a scuola l’hanno forse studiato per il compito in classe del giorno dopo; ma c’erano anche tanti altri. C’erano i trentenni in felpa e scarpe da ginnastica, figli di quegli anni ‘90 che Coez ha celebrato con l’allestimento del suo palco (ci torneremo). C’erano i genitori fuori dal cliché dell’adulto annoiato che accompagna il figlio e si mette in disparte: cantavano, si alzavano, applaudivano, si risedevano.
Forse nemmeno lui se l’aspettava una partecipazione così forte. Ma le sue canzoni (a proposito, La tua canzone è stata la prima hit che ha fatto esaltare il palazzetto ed è stata tra le prime in scaletta) hanno imboccato una strada trasversale che alla fine ha cavalcato bene. Ritmo, voce che non cala, occhiale da sole tenuto quasi sempre tranne quando è sceso a salutare il pubblico del parterre, come a voler dire che quel contatto meritasse di togliere tutti gli schermi. Schermi che invece sul palco erano belli presenti: tanti, di dimensioni diverse, che per forma e dimensione ricordavano le vecchie tv anni Novanta (eccoli) col tubo catodico, posate su un palco che aveva una pavimentazione simile al linoleum bianco e nero dei diners americani pure di epoche precedenti. C’era tutto per essere trasversali: musica, pubblico, ambientazione. E ospiti.
Con puntualissimo ritardo, le luci si sono spente alle 21.15: Coez non è salito subito, si è fatto riprendere dal backstage con un microfono in mano. “Stiamo arrivando, Milano!”. Prima di cantare qualche secondo del ritornello di “La musica non c’è”, che scalda l’atmosfera. La camera a mano ha ripreso un po’ tutti quelli che erano nel backstage, con uno spoiler: cappello di lana, barba lunga, occhiali e boato del pubblico. “Ma chi è quello?” abbiamo candidamente sentito chiedere da una persona più grande alla sua esaltatissima vicina di posto, che nemmeno conosceva. “Frah Quintale! È qui c***o!”.
Lo scarto generazionale che ribalta i ruoli: il maestro che viene educato dall’allievo. Frah è salito sul palco a metà esibizione, il tempo di due canzoni. Poco dopo è arrivato anche Franco 126. Perché “Certi featuring sono belli solo se li fai insieme”, ha detto Coez. E aveva ragione. Un’ora e quarantacinque minuti pieni di concerto che ha fatto ridere, gridare, anche piangere (di nuovo, siamo testimoni: le lacrime per “E yo mamma” del pubblico erano reali), che ha restituito un cantante più solare e meno ombroso. Anche quando ha finito con La musica non c’è. L’aspettavano un po’ tutti, l’ha cantata per ultima, chiudendo il cerchio con quella prova da backstage che aveva fatto all’inizio. Questa volta era tutto sotto controllo. Con buona pace di Petrarca. E di Coez.
Ps. È vero, Sanremo Giovani l’ha rifiutato, ma un po’ di Festival ce l’ha messo lo stesso. A metà concerto, è andato a cambiarsi: via la camiciona lunga bianca, per mettere un felpone tutto colorato con un’enorme scritta dietro: Amore 98 Vaffanculo. La data è in riferimento al titolo del suo primo album. Le altre due parole non hanno bisogno di grossa esegesi: sono la sintesi delle contraddizioni che lui mette quasi in ogni canzone. Di quelle che piacciono un po’ a tutti.
Source link


