Il caffè è un diritto, ma troppe pause al bar può costarti il posto di lavoro: legittimo il licenziamento. Mancata esposizione codice disciplinare, non sempre è un problema

Un lavoratore, durante l’orario di servizio, si è trattenuto a lungo in alcuni bar, superando il tempo massimo previsto per la pausa sia dall’articolo 8 del Decreto Legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (che disciplina i tempi di riposo e pausa nei rapporti di lavoro) sia dal contratto collettivo applicato. La vicenda è arrivata alla Corte di Cassazione, che si è espressa sulla legittimità dei controlli effettuati tramite agenzia investigativa e sulla possibilità di procedere con il licenziamento per comportamenti di questo tipo.
Il pronunciamento è contenuto nella sentenza n. 8707 del 2 aprile 2025 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione.
Quando è possibile far intervenire un investigatore privato
Secondo la Corte, un’azienda può rivolgersi a investigatori privati per verificare se un dipendente sta commettendo irregolarità, a condizione che i controlli non riguardino direttamente come viene svolto il lavoro. Questa possibilità è prevista dagli articoli 2 e 3 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), che vietano la sorveglianza diretta dell’attività lavorativa da parte di soggetti esterni, salvo se autorizzati.
La Cassazione ha confermato che tali controlli sono ammissibili anche quando ci sono soltanto sospetti, e non prove certe, di comportamenti scorretti (Cass. civ. sez. lav. n. 3590/2011; n. 8373/2018; n. 9167/2003). Tuttavia, i controlli devono essere limitati a verificare fatti che esulano dalla normale esecuzione del lavoro, come potenziali truffe, assenteismo ingiustificato, condotte scorrette fuori sede.
La tutela dell’immagine aziendale vale quanto quella dei beni materiali
Negli ultimi anni la Cassazione ha riconosciuto che il “patrimonio aziendale” non si limita agli strumenti o agli immobili dell’azienda. Include anche aspetti intangibili, come la reputazione. Questo concetto è stato ribadito in più sentenze (Cass. civ. n. 2722/2012; n. 13266/2018; nn. 23985, 27610, 30079/2024).
È stato considerato legittimo, ad esempio, l’utilizzo di telecamere per documentare furti da parte di dipendenti (Cass. n. 10636/2017; n. 22662/2016) o casi di denaro sottratto alla cassa senza registrazione delle vendite (Cass. n. 18821/2008). Anche il ricorso a investigatori privati è stato ritenuto legittimo in circostanze simili (Cass. n. 17004/2024).
Secondo i giudici, comportamenti che minano la fiducia o l’immagine dell’azienda verso l’esterno possono essere sufficienti per giustificare un licenziamento, indipendentemente da un danno economico immediato.
Codice disciplinare non affisso? Non sempre è un problema
La Cassazione ha infine chiarito che non serve necessariamente che il codice disciplinare sia affisso nei locali dell’azienda per poter sanzionare comportamenti gravi. Questo vale nei casi in cui si viola un “minimo etico”, cioè un insieme di regole non scritte che ogni lavoratore è tenuto a rispettare.
Il principio è stato più volte confermato dalla giurisprudenza (Cass. civ. n. 22626/2003; n. 13906/2013; n. 6893/2018). Quando viene meno un comportamento corretto e leale – come allontanarsi dal lavoro per lunghi periodi senza giustificazione – l’azienda può intervenire anche se non esiste una regola scritta visibile.
Source link