il 16enne palestinese malato di tumore arrivato da Gaza Sottotitolo:
Una bandiera palestinese adagiata sopra la terra che ricopre la bara. Così Bologna ha salutato Yahya Elkhodary, il ragazzo di 16 anni arrivato da Gaza circa un mese fa per ricevere cure oncologiche al Policlinico Sant’Orsola. Ma il tempo non è bastato: Yahya è morto nella notte tra mercoledì 19 e giovedì 20 giugno all’hospice pediatrico Seragnoli, dove era ricoverato.
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Al cimitero di Borgo Panigale, la mattina del 21 giugno, si sono celebrati i funerali del giovane palestinese, alla presenza di oltre cento persone tra membri della comunità islamica e cittadini comuni. Un momento straziante, soprattutto per la madre di Yahya, che lo ha accompagnato in Italia insieme alle due figlie più piccole. Il padre è rimasto a Gaza.
“Non hai avuto paura di andartene”, ha sussurrato la donna, inginocchiata davanti alla tomba, mentre un’amica recitava una preghiera. Il rito funebre si è svolto in due momenti, come previsto da alcune pratiche islamiche: prima gli uomini, che hanno accompagnato il feretro e iniziato a scavare con le mani, poi le donne, che hanno dato l’ultimo saluto dopo la sepoltura.
Una storia di fuga e speranza interrotta
Yahya era arrivato a Bologna gravemente malato, dopo settimane di attesa per ottenere il nulla osta a lasciare Gaza, zona colpita da bombardamenti e carenze sanitarie estreme. Le cure oncologiche al Sant’Orsola sono iniziate immediatamente, ma il quadro clinico era già troppo compromesso.
Presente ai funerali anche Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche d’Italia), che ha lanciato una dura accusa: “Yahya non è morto di tumore, ma di una politica di annientamento. Gli ospedali distrutti, le medicine bloccate, il diritto alla cura negato. È arrivato troppo tardi. Se avesse potuto iniziare la terapia a Gaza, forse oggi sarebbe ancora vivo”.
Il dolore e l’impegno della città
Alla cerimonia erano presenti anche Matilde Madrid, assessora al Welfare del Comune di Bologna, e altri rappresentanti delle istituzioni locali come Detjon Begaj (Coalizione Civica), Siid Negash (Lista Lepore) ed Erika Capasso (delegata al Terzo settore).
“È un momento di profondo dolore ma anche di denuncia politica – ha detto Madrid –. Siamo vicini alla famiglia e continueremo ad accogliere chi ha bisogno di cure o di ricongiungersi ai familiari”.
Tuttavia, la situazione dei corridoi umanitari è complicata: la chiusura dello spazio aereo della Giordania rende difficile prevedere nuovi ingressi. A oggi Bologna ha già accolto 106 palestinesi e ne attende almeno altri 20, tra cui anche bambini feriti durante attacchi militari mentre erano in fila per il cibo.
“Il tempo passa – ha concluso Madrid – e il massacro continua. Serve agire subito per salvare vite umane”.
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