I vini bio aspettano i dazi Usa. E importatori hanno già iniziato a chiedere sconti
Zev Rovine aveva fatto i conti bene. Da imprenditore, era tenuto a farli e dicevano questo: se davvero i dazi sul vino saranno al 200%, la società e i suoi 35 dipendenti chiuderanno entro tre mesi. Nei giorni scorsi lo spauracchio dell’improbabile tariffa è scampato, ma questo non ha certo reso meno amara la pillola di quel 20%, ora temporaneamente ridotto al 10%, che ora dovranno pagare le merci italiane nel commercio con gli States. E ora gli importatori hanno già preso a chiedere sconti su sconti.
A Brooklyn Zev Rovine Selection è una piccola istituzione nell’importazione di vini biologici, etichette italiane e francesi in primis. Un nome tra i più rilevanti di una nicchia che agli americani piace parecchio. Fino all’inizio dell’anno, l’importazione di organic wine valeva in generale un discreto giro d’affari, quasi 160 milioni di dollari l’anno stando alle cifre dell’American association of wine economists. La stragrande maggioranza arrivava dalla Nuova Zelanda, ma nella classifica dei maggiori importatori di vino bio negli Usa al secondo posto c’erano proprio le bottiglie italiane, con l’8% dell’intero mercato. A livello di numeri, si sta parlando di 12,4 milioni di dollari di importazioni, di cui 7,1 milioni generati dai rossi (per i quali eravamo protagonisti, seguiti da Francia e Argentina) e 5,3 milioni di bianchi.


L’uso del passato è oggi diventato sostanzialmente d’obbligo, perché dopo le scelte del presidente degli Stati Uniti è difficile sapere su quali strade virerà il mercato. C’è però un dato di fatto: era già bastato l’annuncio dei dazi per mettere un intero settore in subbuglio. Come conferma Raffaele Bonivento, fondatore dell’azienda di selezione e distribuzione di vini biologici e naturali Meteri, «era da settimane che le spedizioni per l’America erano state bloccate, con un danno non da poco per le aziende che operano in questo settore». Dalla sponda opposta dell’Atlantico, Rovine proprio non riesce a spiegarsi questa presa di posizione del Tycoon: «Ha fatto campagna elettorale sostenendo che l’inflazione fosse un problema e ora intende aumentarla intenzionalmente».


L’Unione italiana vini nei giorni scorsi aveva messo in fila dei numeri, secondo i quali le tariffe doganali al 20% sarebbero costate al comparto italiano 323 milioni di euro all’anno, pena l’uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni. E tra queste ci sono anche quelle biologiche e biodinamiche, con vignaioli che nel tempo hanno investito parecchie risorse (sia in termini di denaro che di fatica) per immettere sul mercato bottiglie che siano in linea anche con la regolamentazione a stelle e strisce, poiché sul tema “vino bio” la legislazione Usa è piuttosto differente. Ecco allora che davanti alla stangata dazi, il presidente dell’Uiv Lamberto Frescobaldi aveva subito detto: «serve condividere l’onere dell’extra-costo ed evitare di riversarlo sui consumatori».
Parole che oggi si rivelano vere, almeno per quanto riguarda gli importatori americani di vino italiano, che hanno appunto iniziato ad avanzare richieste. «Ritengo l’applicazione delle tariffe davvero una cattiva idea» dice Zev Rovine, per poi confermare: «al momento dobbiamo tuttavia prenderne atto e per questo abbiamo dovuto chiedere ai produttori (anche italiani) se avessero la possibilità di abbassare un po’ i prezzi». Più di altri, chi ha costruito tutto il suo business attorno all’importazione è infatti sui carboni ardenti, «in quanto andremo incontro a momenti molto difficili» chiosa Rovine. La battaglia dei dazi che diventa battaglia sui prezzi.
Source link