I social un’occasione se si trasformano in relazione vera
“Riparare le reti”: è con questa immagine che Papa Leone XIV ha accolto in Vaticano centinaia di influencer cattolici, missionari digitali e comunicatori della fede, arrivati a Roma per il primo Giubileo degli influencer della storia. Due giorni intensi – 27 e 28 luglio – tra conferenze, lavori di gruppo, preghiera e una veglia eucaristica nella Basilica di San Pietro. Proprio lì, a sorpresa, è arrivato il Pontefice: “Siete agenti di comunione – ha detto – capaci di rompere le logiche della divisione e dell’egocentrismo. Siate centrati su Cristo”.
L’incontro ha preceduto l’inizio del Giubileo dei giovani (28 luglio–3 agosto), evento attesissimo che riunisce un milione di ragazzi e ragazze da tutto il mondo. Due momenti distinti ma uniti da una convinzione comune: la fede ha bisogno di nuovi linguaggi. E i social, se abitati con autenticità, possono diventare strumenti di annuncio, cura e relazione.
“Oggi non si può più evangelizzare senza essere anche online”, dice Nicola Camporiondo, 19 anni, studente di Teologia a Padova, volto noto di TikTok per i suoi video semplici ma incisivi. “Il Giubileo degli influencer è stato il primo nella storia. È un segnale chiaro: la Chiesa ha capito che evangelizzare oggi significa esserci anche online”. Fino a poco tempo fa, aggiunge, “molti di noi testimoniavano la fede sui social in solitaria, senza riconoscimento. Ora ci sentiamo parte di un corpo. La Chiesa ci ha detto: non siete soli, siamo con voi in questa missione”, racconta Camporiondo.
Camporiondo è a Roma anche per vivere il Giubileo dei giovani: “Mi fermerò tutta la settimana e racconterò tutto sui social. Lo faccio per i ragazzi che si sentono soli nella fede, che magari nella loro parrocchia non trovano altri coetanei con cui condividere il cammino. Questo Giubileo può diventare per loro un porto sicuro”.
La sua storia è quella di tanti: una crisi dopo la pandemia, il ritorno in parrocchia, il desiderio di trovare un modo nuovo per parlare ai coetanei. “Nel gennaio 2021 ho pubblicato il mio primo video su TikTok. Nessuna pretesa, solo la voglia di rispondere alle domande che io stesso mi ero posto”. Oggi, migliaia di visualizzazioni dopo, si ritrova testimone di una fede giovane e comunicabile. “Essere cattolici nel 2025 significa anche smontare stereotipi. Racconto una Chiesa che accoglie, che sa parlare i linguaggi dei giovani, senza restare ferma nel tempo”.
“I social? Non un fine, ma un mezzo per arrivare ai cuori”, è invece la sintesi di Michael Mattarucco, 24 anni, è un altro partecipante del Giubileo degli influencer e dei giovani. Anche lui è un missionario digitale, e la sua missione ha preso forma dopo un cambiamento profondo. “Da adolescente usavo i social solo per ottenere successo e approvazione. Poi, durante la pandemia, ho iniziato a pormi domande, a leggere il Vangelo ogni giorno. Sentivo che quella Parola mi dava una gioia vera, diversa. Così ho deciso: userò i social per fare del bene”, racconta Mattarucco.
I suoi video non cercano lo scontro, ma l’empatia: “Racconto la mia esperienza personale, condivido riflessioni sulla Parola di Dio. Cerco chi vive momenti difficili, chi ha bisogno di una goccia di speranza”. E l’obiettivo non è mai il like: “Voglio essere strumento di Dio. I social non sono un mondo a parte: qui si può mostrare la Chiesa per quella che è davvero”.
Anche per Mattarucco, il Giubileo dei giovani è un’occasione di comunione reale. “Molti ragazzi li conoscevo solo online. Qui ci siamo incontrati di persona, ed è nato qualcosa di più profondo. I social devono portare alla relazione vera: altrimenti sono un’occasione persa”. Il momento più bello? “Condividere con altri la stessa missione. Siamo qui per raccontare la gioia della fede, e questo ci unisce davvero”.
Le parole del Papa non sono state semplici benedizioni. Piuttosto, una chiamata: “Oggi ci troviamo in una cultura nuova profondamente segnata dalla tecnologia. Sta a voi far sì che questa cultura rimanga umana”, ha detto Leone XIV. Ha chiesto ai presenti di non “generare contenuti”, ma “incontrare cuori”. Di non contare follower, ma relazioni. Di costruire “reti dove si possa guarire dalla solitudine” e “dove nessuna bolla possa coprire le voci dei più deboli”.
Un invito forte, che risuona anche nella missione di tanti giovani creator: usare la rete non per mostrarsi, ma per trasmettere. “Spesso ci chiedono chi è il nostro modello e noi rispondiamo Carlo Acutis. È stato il primo a capire che Internet poteva diventare un altare. Quando aveva 14 anni ha creato un sito sui miracoli eucaristici, tradotto in tutto il mondo. È morto giovanissimo, nel 2006, ed è stato beatificato nel 2020. Per tanti giovani oggi è un riferimento: ha fatto del digitale uno strumento per evangelizzare. Se fosse vivo oggi, sarebbe qui con noi”, dicono ancora Camporiondo e Mattarucco.
Tra i volti presenti a Roma c’è anche Marianna Laudi, impegnata nel progetto “Shine to Share”, promosso dalla Conferenza episcopale italiana per formare giovani testimoni della fede nei linguaggi digitali. “Ho partecipato a questo percorso come rappresentate delle Acli e per me è stato qualcosa di davvero arricchente, sia a livello professionale che umano. Il gruppo che si è formato è una vera comunità. E la bellezza è che ci rivedremo ancora”, racconta Laudi.
Il progetto, spiega, “ha previsto anche una formazione accademica presso l’Università Cattolica, con un attestato da Digital Creator. Per i giovani, oggi, serve una preparazione seria per comunicare la fede nei contesti digitali”. Per Laudi, però, l’obiettivo non è solo digitale: “I social devono essere un punto di partenza. Il post deve incuriosire e spingere le persone a vivere esperienze reali. Non basta la conoscenza virtuale: i giovani hanno bisogno di relazioni vere, di spazi fisici dove incontrarsi”.
A raccontare il Giubileo degli influencer è stato anche chi guarda da fuori. Come Roberto Celestri, influencer d’arte agnostico con oltre 600.000 follower: “Sono stato invitato e ho accettato con curiosità. Non sono credente, ma ho trovato qui una grande varietà e un’energia inaspettata. La Chiesa è molto più plurale di quanto immaginassi”, racconta Celestri.
Il suo racconto passa attraverso le immagini: chiese barocche, dettagli, volti. “Uso le immagini per parlare di arte e spiritualità. È un linguaggio potente, capace di superare le differenze”. E il pubblico lo conferma: “Mi seguono credenti e non credenti. Mi colpisce il fatto che, senza volerlo, porto molte persone dentro le chiese. E questo è un valore culturale enorme”. Celestri è rimasto sorpreso anche dal confronto interno alla comunità: “Ho visto sensibilità molto diverse dialogare tra loro. Non pensavo che esistesse una Chiesa LGBT, o progressista, in questo contesto. E invece sì. C’è fermento, c’è una tensione verso qualcosa di comune. Questo è ciò che voglio raccontare”.
La settimana del Giubileo dei giovani è appena cominciata, ma la rete – in ogni senso – è già viva. In tanti continueranno a raccontarla con parole, immagini, storie. Non per marketing, ma per missione. Non per spettacolo, ma per relazione. “Spero che da questo Giubileo i ragazzi escano riconciliati con la propria interiorità. Che si sentano meno soli, più liberi. Più amati. Perché la fede, se comunicata con amore, può davvero cambiare la vita”, conclude Camporiondo.
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