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i numeri che spiegano la sconfitta

“Ho dato il massimo oggi, non potevo fare di più”. Sembra una dichiarazione di resa: il numero 1 al mondo che dà il massimo ma perde nettamente in 4 set la finale degli Us Open. Non è così: Carlos Alcaraz, che si è ripreso New York e la vetta del ranking Atp, non ha vinto contro la miglior versione di Jannik Sinner. In molti hanno avuto la sensazione che lo spagnolo sia stato ingiocabile, che abbia mostrato una superiorità incolmabile. Ma il gap che si è visto sull’Arthur Ashe di Flushing Meadows non è solo frutto di una straordinaria prestazione di Alcaraz. L’altra faccia della medaglia infatti è una contro-prestazione di Sinner, che si riassume soprattutto in un numero: 48.

È la percentuale di prime di servizio messe in campo da Sinner nel corso della finale. Con una battuta così traballante, è semplicemente impossibile battere Alcaraz, anche in una versione “normale“. Anzi, servendo così male l’azzurro avrebbe rischiato di perdere perfino contro un 38enne Djokovic. È un problema che l’altoatesino si trascina fin dall’inizio di questi Us Open: le sue percentuali hanno sempre viaggiato di poco sopra il 50%. In finale serviva un miglioramento, invece c’è stato un ulteriore tracollo, soprattutto nel quarto set. Due mesi fa a Wimbledon, Sinner annichilì la risposta di Alcaraz servendo il 62% di prime in campo, mentre lo spagnolo si fermò al 53%. A New York invece è stato il nuovo numero 1 al mondo a servire con il 63%. Percentuali invertite, risultato pure.

Sarebbe esagerato ridurre tutto alla prestazione al servizio. Ma qualsiasi ragionamento non può prescindere dall’analisi della battuta, che indirizza ogni sfida tra Sinner e Alcaraz, che influenza anche tutte le altre componenti del loro gioco. Quando il livello è così alto, il servizio è determinante. E nella finale degli Us Open lo spagnolo ha beneficiato anche di 10 ace (con 0 doppi falli), mentre Sinner ne ha fatti appena 2 e ha commesso 4 doppi falli. Se Alcaraz ha vinto 23 punti in più dell’altoatesino, la metà sono arrivati direttamente dal servizio. Se lo spagnolo parte già con questo vantaggio, pratico e pure psicologico, diventa oggettivamente difficile contrastarlo. Sinner, analizzando la sconfitta più nel dettaglio in conferenza stampa, è stato più lucido e ha ammesso: “Semplicemente non era la mia giornata, devo accettarlo. Io non ho servito al meglio e quando servi meno del 50% di prime hai sempre pressione“.

Non era la giornata di Sinner, non solo al servizio. E non tanto per gli errori non forzati: ne ha commessi 4 in più di Alcaraz, esattamente come a Wimbledon. Quanto nel prendersi i punti da fondo di campo: i vincenti sono stati appena 21, praticamente la metà rispetto ai 41 dello spagnolo. A Londra, Sinner aveva sbagliato tanto pur di non lasciare il pallino del gioco in mano al suo avversario. Aveva impedito ad Alcaraz di far partire il suo show e di trarne energia. A New York invece si è ritrovato spesso in balia di un gioco non suo. “Lui è migliorato molto – ha sottolineato lo stesso Sinner – l’ho trovato più pulito, le cose che avevo fatto bene a Londra le ha fatte meglio lui oggi. E questo è il risultato”.

L’altoatesino ne fa anche un discorso di prevedibilità: “Alterna spesso, viene a rete, usa la smorzata, lo slice. Non diventerò mai come lui, ma sarà necessario spingermi fuori dalla zona di comfort ogni tanto per provare a diventare un giocatore migliore e più imprevedibile”. Il discorso è ovviamente corretto, ma è una spiegazione solo parziale della sconfitta. Alcaraz infatti sarà sempre più imprevedibile e spettacolare, ma a Wimbledon e per lunghi tratti anche al Roland Garros Sinner era riuscito a spegnerlo. Di conseguenza, a mandarlo in confusione. Nella finale di ieri sera a New York i due hanno vinto praticamente lo stesso numero di punti a rete: 20 lo spagnolo (74%) e 19 l’italiano (73%). Il gap Alcaraz lo ha scavato negli scambi “standard”, quelli da fondo.

A Londra sull’erba era successo esattamente il contrario. Ricordate la frustrazione dello spagnolo? “Da fondo campo è molto più forte di me“, diceva durante la finale di Wimbledon. Sul cemento di New York, inaspettatamente, il rapporto di forza si è ribaltato. Sicuramente per merito dello spagnolo, ma anche per via di un Sinner apparso stranamente arrendevole fin dai primi punti. Le variazioni del rivale gli hanno sicuramente dato fastidio, ma sono state possibili per via di un ritmo meno tambureggiante del solito. E torna il fattore del servizio: quasi mai l’italiano ha avuto a disposizione la prima di servizio per prendere il controllo degli scambi e trovare fiducia.

Tutto questo non significa che Alcaraz non sia stato straordinario. Sotto un aspetto in particolare: la gestione dei suoi game al servizio. Lo spagnolo ha perso un solo set in tutto il torneo (in finale) e ha concesso a Sinner un solo break, senza mai concedere altre chance. Da questo punto di vista, in effetti gran parte dei meriti vanno a lui. Alcaraz ha servito da campione, soprattutto nei momenti delicati. Con la prima ha vinto l’84% dei punti, un dominio. Ma anche sulla seconda ha subito molto meno la risposta di Sinner, che normalmente sa diventare un fattore. Mai lo si era visto a questi livelli di costanza e concentrazione per un intero match. La miglior versione di Sinner, però, sarebbe stata capace di trascinare almeno un set al tie-break. Tutti aspetti su cui il campione altoatesino ragionerà con il suo team. Partendo però da un concetto, positivo: la distanza vista ieri non è quella reale. Con buona pace di chi oggi bolla Alcaraz come superiore a Sinner.


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