I magnifici “dei” raccontati dai libri di Bartoletti
VOCE storica del giornalismo sportivo e televisivo, oggi anche affermato scrittore, Marino Bartoletti, ha avuto una carriera ricca di successi anche grazie ad una genuina passione, che lo ha portato, usando la sua profonda conoscenza di sport e musica a creare romanzi che sono diventati casi editoriali: i suoi libri, come la fortunata serie degli “dei”, sono un tributo ai grandi personaggi che hanno segnato la nostra cultura, trasformandoli in favole moderne. Questa sera, 6 agosto, al Premio Caccuri, Bartoletti presenterà due di questi libri: “Il festival degli dei” e “Come Together.” In vista di questo evento, gli abbiamo posto alcune domande per approfondire i temi dei suoi libri e la sua carriera di scrittore.
Bartoletti, i suoi libri, della serie chiamata “degli Dei”, sono popolati da figure che incarnano il concetto di “mito”. Come gestisce l’equilibrio tra il rispetto per la figura storica e la libertà creativa necessaria per la narrazione di una storia che, per sua natura, è una favola?
«Non è stato difficile perché mi sono limitato raccontarli attraverso i miei sentimenti, i sentimenti di amico, di persona che li ha conosciuti. Come dico sempre è impossibile raccontare questi personaggi della musica, dello sport, dello spettacolo attraverso Wikipedia. Io ho avuto una grande fortuna dal punto di vista professionale avere conosciuto veramente queste persone. Se parlo di Mia Martini è perché l’ho incontrata, se parlo di Diego Maradona e perché l’ho conosciuto quasi fraternamente, lo stesso vale per Paolo Rossi, Gianluca Vialli, Gigi Proietti e per Enzo Ferrari che è il grande vecchio di questo romanzi. Mi è piaciuto, non riportarli in vita, ma trasmetterli con la dolcezza e con l’amicizia che ho sempre provato per loro».
In “Come Together”, scritto in collaborazione con Maria Vittoria Backhaus, racconta il concerto dei Beatles a Milano nel 1965. Quale importanza storica ha avuto quell’evento. Crede che oggi potrebbe verificarsi un altro evento di quel genere?
«Mi è facile dire che non credo proprio, i Beatles restano un fenomeno musicale irripetibile, che a fertilizzato gli anni ‘60 e tanti altri anni della musica che è venuta dopo di loro. È un libro di storia, prima che un libro di musica. E l’ho scritto davvero volentieri, anche perché mi hanno convinto proprio le foto di Maria Vittoria, che raccontano non soltanto un concerto in maniera mirabolante dal punto di vista fotografico, ma tutto quello che c’era intorno: la gioventù di allora, l’Italia da allora, in questo caso la Milano. Io non ho fatto altro che didascalizzare quello che lei ha rappresentato con le fotografie. Tra l’altro il Vigorelli, dove si svolse il concerto, era un velodromo conteneva più di 20.000 persone ed era il primo esperimento outdoor che si tentava in Italia, gli stadi non erano praticabili. Sino allora c’erano state arene al massimo di 4/5.000 spettatori. I Beatles incontrarono questo esperimento. Anche se l’Italia musicalmente e culturalmente era ben poco preparata a riceverli, Se non altro perché c’era stato un fuoco di sbarramento da parte di quello che oggi si chiamerebbe il mainstreaming, che li rappresentava come dei ragazzotti zazzeroni e capelluti, e anche abbastanza Rozzi dal punto di vista musicale, che in teoria non potevano insegnare nulla al paese bel canto, invece insegnarono parecchio».
Bartoletti, ci saranno altri “Dei” o altri progetti di libri?
«La saga degli Dei si è chiusa col quinto libro del Festival, perché penso di aver dato il meglio e di essere arrivato in crescendo, le cose musicalmente parlando andrebbero chiuse sempre in battere mai in levare. Sono sazio di quello che ho fatto, e non vorrei annacquarlo inutilmente con altre cose che potrebbero risultare forzate. Dopo il libro sui Beatles per la Rizzoli, il mio editore abituale che è Gallucci mi ha chiesto se avevo idee, gli ho detto che non avevo idee né avrei avuto idee per altri 10 anni e lui invece mi ha detto che leggendo i libri in cui parlavo del mio rapporto con Lucio Dalla c’era ancora qualcosa di incompiuto, e così il mio prossimo libro si chiamerà, lo dico in anteprima, Caro Lucio ti scrivo” saranno 25 lettere che non gli ho mai scritto».
Il Premio Caccuri è un evento che unisce mondi diversi come letteratura, cinema e musica. cosa rappresenta per lei essere ospite e qual è il ruolo di eventi come questo nel promuovere la cultura in Italia?
«Rappresenta per me un grande orgoglio perché questo è un premio che ha assunto una quotazione, una credibilità molto importante, anzi spero un giorno di essere anche in gara per il premio vero e proprio. È molto bello vedere che le amministrazioni investono in cultura, devo dire che in Italia di esperimenti ben riusciti di questi ce ne sono, il che vuol dire che c’è fame di lettura, di cultura e c’è voglia di saziare questa fame. Che un piccolo paese della Calabria diventi un punto di riferimento per la letteratura italiana, per quanto mi riguarda mi inorgoglisce, ma dovrebbe inorgoglire tutti coloro che puntano i riflettori verso Caccuri in quei giorni».
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