I dem lavorano al Project 2029: ecco il piano per riprendere la Casa Bianca
Donald Trump sembra inarrestabile. I primi mesi del suo nuovo mandato hanno mostrato un tycoon molto più asserivo, più conscio dei suoi poteri presidenziali, e circondato da fedelissimi pronti a portare avanti le sue istanze. I democratici appaiono storditi dopo la sconfitta elettorale del 2024, ma c’è qualcuno che inizia a ragionare su come tornare alla Casa Bianca, sul manuale da seguire per battere i repubblicani. Andrei Cherny, ha raccontato il New York Times, è un funzionario di lungo tempo del partito e autore di discorsi per fari leader. Nel corso della campagna elettorale di Kamala Harris si è chiesto più volte quale fosse davvero il suo messaggio e quale la sua idea di Paese.
Trump, ha notato Cherny, ha corso con le sue idee, mentre Harris si è posta solo come anti-Trump. Per questo Cherny sta coagulando intorno a un giornale da lui fondato nel 2006, Democracy, un gruppo di “pensatori” democratici per provare a ricreare quello che i repubblicani più trumpiani hanno fatto dopo la sconfitta elettorale di The Donald nel 2020: stendere un’agenda programmatica per il prossimo candidato democratico alla presidenza. Cherny ha già pensato al nome del piano: Project 2029.
Un richiamo all’agenda Trump
Il nome Project 2029 si rifà direttamente al repubblicano Project 2025, un tomo imponente realizzato da funzionari della Heritage Foundation che indicava una serie di politiche da adottare una volta vinte le elezioni. Per gran parte della campagna elettorale Trump ha disconosciuto il progetto, ma nei primi mesi del suo nuovo mandato ha implementato diversi aspetti contenuti nel dossier stilato dal think tank conservatore. Senza dimenticare che uno degli architetti del progetto, Russell Vought, è stato nominato capo dell’ufficio budget della Casa Bianca.

Come ha detto lo stesso Cherny al Times, il fatto che i democratici per quasi tutta la campagna elettorale abbiano attaccato Trump e Project 2025, non lo ha fermato dall’idea di replicare la stessa tattica. Il suo Project 2029 dovrebbe essere preparato nei prossimi due anni con aggiornamenti trimestrali proprio attraverso il magazine Democracy per poi raccogliere tutto in un dossier finale da diffondere tramite i candidati alle primarie democratiche, di ogni livello, che si ritrovano nelle proposte del Project 2029.
Lotte intestine sulla direzione del partito
L’iniziativa non avviene nel vuoto, ma anzi si colloca all’interno di un feroce dibattito che sta consumando la sinistra americana. Il dibattito va in diverse direzioni: se alla base della sconfitta ci sia un problema di idee, e quindi se i principi vadano rivisti; oppure se il problema non siano le sue idee ma il modo in cui queste arrivano agli elettori e che quindi il problema sia di tipo “persuasivo”.
Partiamo dalle idee. La lotta intestina riguarda molto la questione dell’oscillazione tra posizioni moderate e quelle più radicali. E la lotta lacera anche la base. A New York, giusto per fare un esempio, è in rampa di lancio il socialista Zohran Mamdani ben posizionato per diventare sindaco della città, che ha costruito la sua candidatura (e la vittoria alle primarie democratiche) a colpi di proposte radicali come il congelamento degli affitti, gli autobus gratis e i negozi a buon mercato gestiti dal comune.
In California, invece, il governatore Gavin Newsom si sta ritagliando spazi e consensi grazie a una svolta comunicativa provocatoria, e con una virata verso il centro che non ha lesinato critiche ad alcune frange più liberal del suo stesso partito. Posizione che non solo lui sta ricoprendo, ma che investe anche altre personalità in odore di candidatura alle primarie.
Confezionare il messaggio
La questione del Project 2029 si innesta poi nel dibattito su “come comunicare”. Celinda Lake, storica sondaggista dem, ha detto sempre al Times che secondo lei i dem non hanno lacune sul lato delle policy da proporre, ma su come funziona la narrativa nella loro comunicazione. Nel 2024 i dem, ha detto ancora Lake, hanno condotto una campagna anonima fatta di statistiche e acronimi e non di una visione, cosa che invece ha fatto Trump.
Eppure i sondaggi dicono altro. Gli americani hanno dei dubbi su alcune delle proposte più radicali dei democratici. Interpellati dicono che i democratici si sono persi in questioni troppo di nicchia, troppo woke e fuori dai bisogni reali. È innegabile, infatti, che a pesare nella sconfitta del 2024 sia stata la malagestione di due dossier come l’inflazione e l’immigrazione.
Degli Avengers per i dem
Nel team di Cherny è presente anche Neera Tanden, in passato funzionaria delle amministrazioni Clinton, Obama e Biden. Lei è una delle più vocali contro la vulgata che il problema sia solo nella “narrazione”. Per lei Trump è stato bravo nel portare avanti idee e proposte: “Se Trump lancia la detassazione delle mance non sta facendo come vezzo, ma come messaggio diretto di sostengno alla classe operaia”.
Oltre a lei nel gruppo di lavoro c’è anche Anne-Marie Slaughter, capo del think tank liberal New America l’economista australiano Justin Wolfers, l’analista del think tank liberal Roosevelt Institute, Felicia Wong; Jim Kessler, fondatore dell’istituto centrista Third Way e infine Jake Sullivan, forse il più noto del gruppo, che in passato è stato consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Joe Biden.
Cherny, che ha soprannominato il team come gli Avengers delle politiche pubbliche (o la Justice League, a seconda delle proprie convinzioni personali), i migliori pensatori di tutto lo spettro”. Questa sorta di supereroi della sinistra oltre a lavorare al Project 2029, dovrebbero anche girare il Paese tenendo conferenze per permettere di parlare di economia, sicurezza nazionale, istruzione e riforma del governo. Un progetto impegnativo, dicono i critici, dato che il gruppo è composto da personalità con idee molto diverse.

Le polemiche
I rischi principali del Project 2029 risiedono nel fatto che non tutto il partito sia pronto ad accoglierlo e non solo per i contenuti. Il mondo intorno alla rivista Democracy di Cherny, è un mondo legato all’amministrazione Biden. Sei funzionari dell’amministrazione Biden, tra cui il segretario di Stato Antony Blinken e l’ex capo di gabinetto Ron Klain, avevano in qualche modo scritto per la rivista di Cherny e oggi tra gli intellettuali di sinistra è battaglia per chi dovrà reindirizzare il partito.
I mal di pancia si concentrano soprattutto su Sullivan. Ritenuto responsabile del disastroso ritiro Usa dall’Afghanistan nell’estate del 2021, Sullivan è finito sulla graticola anche per la gestione del conflitto tra Israele e Hamas e per il dossier ucraino, in particolare da parte di Kiev, con qualcuno che ha definito la sua strategia: “perdere lentamente”. Eppure Sullivan non è nuovo ai paper programmatici. Nel 2020 fu tra i firmatari di un lungo articolo-manifesto pubblicato per il think tank Carnegie Endowment for International Peace dal titolo Making U.S. Foreign Policy Work Better for the Middle Class. Un trattato in cui si invitava una futura amministrazione Biden a portare avanti una ricostruzione dell’economia americana a partire dalle forze interne per dare voce e forza alla classe operaia americana, in un tentativo di ridefinizione delle catene di approvvigionamento globali. Tentativo che l’amministrazione democratica ha iniziato ma che non ha portato a termine.
Per il momento la voce più vocale contro il progetto è stata quella di Jon Stewart, comico e volto storico del Daily Show. Da tempo Stewart si è messo a discutere di politica e ad attaccare il partito da sinistra. Intervenendo nel suo podcast personale, il Weekly Show, ha bollato il Project 2029 come “un’iniziativa fottutamente idiota”. “Sono gli stessi che hanno messo insieme tutti quei piani che non hanno funzionato fin dall’inizio. Non capiscono dove risiedono l’energia e il desiderio in questo Paese. Non ne hanno idea. Stanno guardando nel posto sbagliato”, ha detto in diretta.
Le parole di Stewart sono importanti non solo perché restituiscono l’umore della base democratica, ma perché da tempo più di qualcuno gli chiede di candidarsi alle primarie. Lui ha sempre smentito l’ipotesi, ma nell’America di Trump, il fatto che un comico possa correre per entrare alla Casa Bianca è meno banale di un vasto piano macchiavellico per spodestare The Donald.
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