Lazio

i caschi bianchi portano il Comune in tribunale

Sessanta dipendenti della Polizia Locale di Roma Capitale, affetti da gravi patologie oncologiche e cardiache, sono stati richiamati in servizio in presenza.

Nonostante le loro condizioni di salute e le normative comunali che favoriscono il lavoro agile, dovranno tornare in ufficio.

Per otto di loro, però, questa imposizione è inaccettabile: hanno deciso di portare la questione in tribunale, con un ricorso che promette di far discutere.

La prima udienza è fissata per il 19 marzo, ma il caso ha già superato le aule di giustizia approdando in Campidoglio, dove il consigliere di opposizione Francesco Carpano (Forza Italia) ha presentato un’interrogazione scritta al sindaco Roberto Gualtieri e all’assessore al Personale Giulio Bugarini.

La decisione del Comandante e il ricorso in tribunale

Tutto è iniziato il 18 febbraio, quando il Comandante della Polizia Locale, Mario De Sclavis, ha emesso un ordine chiaro: tutti i dipendenti devono tornare in presenza.

La motivazione?Per l’evidente incompatibilità con le mansioni e le attività da rendere, inevitabilmente, in presenza, per la specificità dello status rivestito e la peculiarità dei compiti istituzionali demandati”.

Un’interpretazione rigida del Piano Integrato di Attività e Organizzazione (Piao), il documento che regola anche l’attuazione del Pnrr e l’efficienza della pubblica amministrazione. Secondo il Comandante, il piano esclude in modo categorico il personale della Polizia Locale dal lavoro a distanza.

Una scelta che non tiene conto né delle condizioni mediche di sessanta dipendenti, né del fatto che molti di loro svolgano mansioni amministrative perfettamente compatibili con lo smart working.

Per questo, otto lavoratori hanno deciso di passare all’azione legale, presentando un ricorso contro Roma Capitale per “carenza di istruttoria, contraddittorietà e arbitrarietà”.

L’obiettivo è chiaro: ottenere il diritto a lavorare da casa, almeno per chi è in condizioni di salute particolarmente delicate.

La politica entra in gioco: “Serve flessibilità, non rigidità burocratica”

A portare il caso in Campidoglio è stato il consigliere di opposizione Francesco Carpano, che ha definito l’ordine del Comandante “un eccesso di rigidità”.

Se è giusto contrastare eventuali abusi dello smart working,ha dichiarato Carpano, “è altrettanto giusto riconoscere i diritti di chi affronta malattie gravi. Il Piao lascia margine discrezionale ai dirigenti, che dovrebbero basarsi sui certificati medici per decidere caso per caso. Non si può ignorare la realtà umana dietro un foglio di carta.

L’accusa del consigliere è chiara: il Comandante ha applicato il regolamento con una rigidità burocratica eccessiva, ignorando la condizione di chi, tra cicli di chemioterapia e cure debilitanti, potrebbe lavorare da casa senza difficoltà.

“È opportuno costringere malati oncologici a presentarsi in ufficio?” si chiede Carpano. “Mi auguro che l’assessore al Personale mostri sensibilità e intervenga con urgenza.

La voce dei sindacati: “Inaccettabile chiudere ogni dialogo”

Anche il sindacato CSA-Ospal è sceso in campo, accusando il Comando di aver chiuso ogni porta al confronto.

È inconcepibile una posizione così intransigente, soprattutto verso chi lotta contro malattie devastanti,” ha dichiarato Emanuele Fabiani, responsabile CSA di Roma. “Esistono molte mansioni amministrative che possono essere svolte da remoto, come prevede il contratto collettivo. Ignorare queste possibilità è un grave errore.

Durante un incontro con l’assessore Bugarini e il direttore del personale Angelo Ottavianelli, il sindacato ha ribadito la richiesta di una maggiore flessibilità.

Non si tratta di un privilegio, ha sottolineato Fabiani, “ma di tutela della salute. Le terapie oncologiche e cardiologiche indeboliscono profondamente, e negare il lavoro agile in questi casi è un atto di insensibilità.”

Smart working a Roma: una battaglia ancora aperta

Il caso dei vigili urbani non è isolato. Nel Comune di Roma, sebbene il regolamento preveda due giorni di smart working a settimana, molti dipendenti ne usufruiscono con difficoltà.

Secondo i sindacati, diversi dirigenti applicano il regolamento in modo restrittivo, limitando il lavoro da remoto a un solo giorno o negandolo del tutto.

Di fronte alle proteste, l’amministrazione si è impegnata a monitorare l’applicazione del lavoro agile e a intervenire se necessario.

Verso il 19 marzo: la battaglia legale è appena iniziata

Ora, l’attenzione è tutta sulla prima udienza del 19 marzo, un appuntamento cruciale per questi otto dipendenti che chiedono solo una cosa: continuare a lavorare senza mettere a rischio la propria salute.

La loro battaglia, però, va oltre il tribunale. È il simbolo di una sfida più ampia tra diritti dei lavoratori, burocrazia e sensibilità sociale. E la domanda resta sospesa: può la macchina amministrativa ignorare l’umanità di chi ne fa parte?


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