Hector Mono Carrasco: «Mio gesto artistico è impegno politico»
Hector Mono Carrasco, talento artistico di caratura internazionale muralista e scrittore cileno, a Corigliano-Rossano ha realizzato un murale per la nuova Cittadella dei Ragazzi
Magro come un chiodo con un sorriso aperto, Hector Mono Carrasco mi stringe la mano con la sua piena di colore mentre sta lavorando ad un importante murale alla Cittadella dei Bambini e dei Ragazzi di Corigliano Rossano. Uno dei protagonisti dell’arte di strada del continente latino-americano è qui in Calabria per un progetto di realizzazione di un murale di 10 metri per 8 e la presentazione del suo libro “Cile Italia, sola andata – Storia di un profugo cileno”, edito da FuoriAsse, che si svolgerà proprio di fronte al murale della Cittadella alle ore 17.30, oggi, giovedì 29 maggio.
HECTOR MONO CARRASCO, TRA LIBRI E ARTE
Ci sediamo in un pomeriggio di primavera per una conversazione mentre i disegni ed i colori prendono forma e lui prima di tutto non vuole dimenticare nessuna delle persone che lo stanno aiutando a realizzare l’opera, da Mario Greco e Caterina Arcangelo della FuoriAsse, passando per Maria Razzanelli funzionaria del Comune, fino a Giacomo e Giuseppe, i due ragazzi che manovrano la gru che porta Carrasco in alto per completare il murale. Gli occhi gli brillano ed io sono ansioso per questa intervista con un protagonista di quella stagione importante del mondo che, fra l’altro, ha vissuto anche con gli Inti Illimani, gruppo leggendario della musica, qui in Italia.


Che progetto è quello per Corigliano-Rossano e com’è stata l’accoglienza dei ragazzi?
«L’accoglienza è stata fantastica da parte di tutti, soprattutto dei ragazzi. Quando hanno capito le intenzioni sono partiti da soli, lavoravano e cantavano e per me è stato davvero molto bello. Io sono felice di essere qui per questo progetto del comune, per la biblioteca e per tutto quello che è questa struttura, con il teatro e gli altri spazi e sono felice di comunicarlo anche attraverso l’opera, visto che ci sarà un sipario che si apre, i quaderni, i libri ed altri simboli che ricordano i bambini ed i ragazzi. Poi, cosa più importante, c’è una colomba, che esprime la cosa di cui abbiamo bisogno: la pace. Io sono nato nel 1954 e non mi ricordo mai un momento in cui non c’è stata guerra nel mondo.
La simbologia di questo murales porta a questo, che la gente possa pensare che è possibile vivere in un mondo di pace, dove la comprensione fra i popoli sia la cosa più importante».
Hector Mono Carrasco, tu sei stato uno dei fondatori della pittura muralista in Cile prima del tuo arrivo in Italia come profugo. Cosa ha significato per te?
«Ancora ricordo quando durante una manifestazione nel 1969 mi sono arrampicato sulle antenne della tv, con l’incoscienza della gioventù, per mettere una bandiera del Vietnam, da allora mi hanno chiamato “mono”, che in spagnolo vuol dire scimmia. Da lì abbiamo cominciato a lavorare sui murales e, a parte la parentesi del governo di Allende, non sempre la politica era contenta ed è contenta dell’arte di strade, ricordiamo che in Cile c’è stata per molto tempo la dittatura feroce di Pinochet.
Non è come qui oggi, dove sono venuti tutti, il sindaco ed anche gli altri consiglieri e assessori per vedere i lavori. Credo che questo sia importante anche per come questa città vuole essere in futuro. Comunque noi abbiamo iniziato a raccontare attraverso le nostre opere, come quella realizzato lungo il fiume Mapocho, che scorre attraverso Santiago. Con noi all’epoca c’era un grande pittore cileno come Roberto Matta, che aveva sempre l’anima di un bambino. Pensa che aveva soprannominato tutti noi con il nome dei colori e che durante le opere ci chiamava per lavorare dicendo “rosso vieni qui.” Era un maestro che ci ha fatto crescere nel nostro modo di raccontare».


Che rapporto hai con il Cile e con l’Italia oggi?
«Anche se vivo da tanto all’estero io ogni due anni cerco di andarci, anche per realizzare le mie opere, i miei murales lì. Il rapporto è stretto, specie da quando si è incamminato sulla via della democrazia e cerco di aiutare il mio paese nei modi possibili. Ad esempio, quando fu eletta una sindaca in un comune vicino Santiago, lei mi disse che le serviva un autobus per i ragazzi e gli anziani. Allora mi ricordo che ce ne avevano donato uno qui in Italia, uno che praticamente non era più utilizzabile perché non rispettava le normative ambientali europee, e lo abbiamo ridipinto con tutti elementi dell’arte italiana del Rinascimento, anche per sottolineare il legame da dove veniva, e lo abbiamo portato a Livorno e messo su un container speciale.
Se penso all’Italia io ho un rapporto importante perché questo è il paese che mi ha salvato la vita, io ho saltato il muro dell’ambasciata italiana in Cile e da lì mi sono sentito accolto. Anche quando sono critico con questo paese io non scordo che è grazie a questo paese che sono qui a vivere a raccontare, mentre altri miei compagni sono scomparsi, prigionieri o assassinati».
Come si coniugano per Hector Mono Carrasco arte e politica?
«Dipende molto da cosa intendiamo per politica e arte. Ti faccio un esempio, quando le donne iraniane si tagliarono i capelli in segno di protesta (in Iran le donne si tagliano i capelli in segno di lutto. La protesta del 2022 delle donne iraniane fu per l’omicidio di Mahasa Amini, oppositrice del regime, uccisa a forza di percosse da parte della polizia, ebbe forte eco anche in Occidente, ndr) noi a Torino abbiamo organizzato una manifestazione con un insieme di donne italiane e iraniane che si sono tagliate i capelli in quel momento.
Ogni mio gesto artistico è sempre impegnato politicamente, posso dirti al 98%. E come per quello che sta succedendo in Palestina e in Ucraina. Abbiamo il dover di farlo. Questa è una forma di arte collettiva che muove la coscienza delle persone e le persone lo capiscono. Quando fu arrestato a Londra Pinochet noi abbiamo fatto un murales con dei pannelli a Milano proprio di fronte al Teatro alla Scala. Quella sera c’era la prima della stagione! C’erano tutti i signori e le signore benvestite che guardavano incuriositi.
Io mi sono avvicinato ad una di loro e le ho dato un pennello, lei felice ha iniziato a dipingere. Dopo di lei anche altri si sono uniti! Questa è una forma di arte collettiva che per me è il senso più importante del gesto artistico».
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