Hanif Kureishi e il libro dettato al figlio dopo la paralisi: «Racconta la disabilità con umorismo: la sua resilienza è di ispirazione»
Non prova rabbia nei suoi confronti?
«No».
Sia lei che il suo gemello avete deciso di seguire le sue orme e diventare sceneggiatori.
«Dopo essermi iscritto a filosofia a Bristol, come papà, ho capito che la mia strada era lavorare nel mondo delle arti, ma non avevo idea del come. Poi, dieci anni fa, mio padre e Sachin scrivono insieme una sceneggiatura e la vendono, ed è lì che inizio a pensare: “Posso farlo anch’io”. Così ho iniziato a scrivere. Ora ho quattro show in fase di sviluppo, e stiamo lavorando al lungometraggio tratto dal libro».
Suo padre le dà dei consigli?
«Molti. È un bravo insegnante e da lui abbiamo assorbito una quantità esorbitante di nozioni».
La più importante?
«La disciplina. E la domanda che dobbiamo fare costantemente a noi stessi: stai scrivendo come se fosse la tua vocazione o come un hobby? Ricordo che mi chiamava ogni mattina per chiedermi a cosa stessi lavorando, che era una cosa che faceva sempre suo padre – che aveva lavorato per l’ambasciata del Pakistan, ma che desiderava fare lo scrittore – con lui. Spero lo farò anch’io con i miei figli. Penso che nella relazione tra uomini, tra padre e figlio in particolare, sia importante condividere degli interessi».
L’ha imbarazzata trascrivere le parti sul ménage à trois?
«Un po’ sì, ma durante il processo di scrittura, anche quando parlavamo di cose davvero orribili, io e papà abbiamo sempre messo una specie di distacco. Parlare di sesso era importante per restituire l’immagine di un uomo che, fino a quel momento, aveva vissuto la propria vita in modo pieno».
Suo padre si descrive come «mezzo bambino, mezzo tiranno». È davvero così?
«Non lo definirei così. È una persona con disabilità che ha dei bisogni. Il problema di essere una persona con disabilità è che sei in continua negoziazione con chi ti circonda. Devi costantemente chiedere: puoi prendermi questo? Puoi mettermi questo in bocca? Non lo chiamerei nemmeno tirannico, anzi, penso sia diventato più empatico, più bravo ad ascoltare».
Che rapporto hanno oggi i suoi genitori?
«Molto stretto. In passato hanno avuto divergenze, poi si sono riavvicinati e ora lei è la sua àncora di salvezza, dopo Isabella, che è la sua roccia».
Nel libro Hanif dice di aver chiesto a Isabella di sposarlo. Cosa ne pensa?
«Non so cosa sia successo a quei piani, ma credo siano stati messi in attesa. Adoro Isabella. È una persona meravigliosa, affascinante, molto risoluta e leale. È in famiglia da più di dieci anni, ma grazie a questo incidente siamo diventati molto più uniti».
Qual è il ricordo più bello che ha insieme a lui?
«Quando al sabato andavamo a giocare al parco, con gli altri papà. Segnava sempre. Mi piace immaginarlo come una persona fisica».
Leggendo, si capisce che suo padre resta un ottimista.
«Oggi si trova nella migliore forma fisica di questi due anni. I progressi sono molto graduali, e non sappiamo cosa riserverà il futuro, però ha un libro in uscita, una pièce a teatro, sta per girare un film, lavora coi suoi figli, fa podcast, scrive. Quindi sì, penso si trovi in un buon momento. Ovviamente, c’è anche il lato ironico di tutto questo: ci è voluto un incidente orribile per farlo tornare a scrivere di nuovo».
Per abbonarvi a Vanity Fair, cliccare qui.
Source link