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Hamas apre a Trump: “Fine guerra grazie a lui”


Hamas apre a Trump: "Fine guerra grazie a lui"

A nemmeno 24 ore dall’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, dal Medio Oriente giungono i primi segnali nei confronti della nuova amministrazione Usa.

E il plauso giunge da insospettabili, come la leadership politica di Hamas, dichiaratasi pronta al dialogo con gli Stati Uniti, riconoscendo al nuovo presidente americano il merito di aver “messo fine” alla guerra nella Striscia di Gaza. Lo ha dichiarato l’alto funzionario di Hamas Mousa Abu Marzouk nel corso di una intervista al New York Times. Trump è un “presidente serio“, ha aggiunto. “Se non fosse stato per il presidente Trump, per la sua insistenza nel porre fine alla guerra e per l’invio di un rappresentante decisivo, l’accordo non si sarebbe mai concretizzato“, ha affermato Abu Marzouk riferendosi al nuovo inviato americano in Medioriente, Steve Witkoff. “Il merito di aver posto fine alla guerra spetta a Trump“, ha aggiunto, sottolineando come Witkoff è il benvenuto a Gaza. “Può venire a vedere la gente e cercare di capire i loro sentimenti e desideri in modo che la posizione americana possa basarsi sugli interessi di tutte le parti, e non solo di una parte“, ha aggiunto.

Affermazioni che lasciano spazio a infiniti corollari e anche a qualche imbarazzo, visto che Hamas è considerata un’organizzazione terroristica, e non soltanto da Washington. Il cessate-il-fuoco sembra, dunque, galvanizzare l’organizzazione islamista, che ora scorge l’opportunità di espandere le relazioni internazionali del gruppo, accreditandosi nuovamente e meglio nel consesso internazionale. “Siamo pronti a dialogare con l’America e a raggiungere intese su tutto“, ha ribadito Marzouk. Hamas potrebbe, infatti, aver scorto una finestra storica legata alla disponibilità di Trump a dialogare con nemici storici come la Corea del Nord.

Marzouk, tuttavia, non è un duro e puro. Ha vissuto negli Stati Uniti, in Virginia, e non è chiaro a che titolo si stia ponendo come interlocutore di Hamas e, soprattutto, se possiede una sorta di “mandato” da parte dei massimalisti del calibro di Mohammed Sinwar e Izzeldin al-Haddad, comandanti militari intransigenti a Gaza. Si tratta di un leader pragmatico, ma del cui peso politico dubitano in molti. Del resto, non possono non pesare le molte dichiarazioni di Hamas durante la prima amministrazione Trump, che criticavano il trasferimento dell’ambasciata statunitense in Israele a Gerusalemme, il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e il taglio degli aiuti ai palestinesi. Ma soprattutto che, in quel frangente il piano Trump venne definito “l’accordo della vergogna”.

Cosa sta accadendo, dunque? Si tratta di una scelta eminentemente realista, legata presumbilmente all’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, oltre che ai materiali per ricostruire dalle macerie. Senza questi sviluppi e il controllo del territorio, Hamas non può confermare la propria leadesrhip nell’area.

Ma quale potrebbe essere il prezzo? Hamas potrebbe dover rinunciare al governo civile a Gaza, senza smantellare però la sua ala militare, sul modello di Hezbollah in Libano prima del suo ultimo conflitto con Israele. Del resto, l’aiuto di Washington val bene una messa.


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