Società

Guerra Usa-Iran: perché è solo l’inizio della reazione a catena

Il libro più citato degli ultimi anni, cioè il trattato Della guerra del generale prussiano Carl von Clausewitz, sostiene – come noto – che la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Questo significa che anche la guerra va analizzata come se fosse una politica come le altre, con certi fini e certi mezzi per raggiungerli: ma cosa vogliono Israele, l’Iran e gli Stati Uniti in questa nuova guerra che si combatte in Medio Oriente ma è globale? E quali possono essere i futuri sviluppi?

Proviamo ad applicare il freddo approccio del teorico militare von Clausewitz senza considerare, ma solo per chiarezza analitica, morti, feriti, distruzione, terrore.

Iran

L’Iran degli ayatollah è un regime che dal 1979 si regge su un misto di repressione interna e aggressioni all’esterno – talvolta vere guerre come con l’Iraq nel 1980, più spesso come sponsor del terrorismo – che hanno bersaglio soprattutto Israele o gli Stati Uniti, i grandi nemici ideologici della teocrazia sciita, rivale, nell’area, dell’altro centro religioso sunnita, l’Arabia Saudita.

Il programma nucleare risale al 1957 e a una collaborazione proprio con gli Stati Uniti, che volevano rafforzare lo shah, loro alleato allora al potere.

Negli ultimi quindici anni, il programma nucleare è diventato una specie di garanzia di sopravvivenza: l’Iran che aveva aiutato gli Stati Uniti nel contenere il terrorismo jihadista, si è progressivamente trovato schiacciato su altri rivali sistemici dell’America, dalla Russia alla Cina, e ha sperimentato i costi dell’isolamento senza i benefici dell’integrazione nelle filiere produttive cinesi (l’Iran esporta soprattutto petrolio e gas).

Nel 2015 l’amministrazione Obama e l’Unione europea riescono a inserire quel programma nucleare in un accordo (JCPOA) che di fatto rallenta il progresso verso la bomba atomica: gli ayatollah salvano la faccia ma collaborano, e così ottengono meno sanzioni e un canale diplomatico efficace.

Donald Trump già nel primo mandato, nel 2018, esce dall’accordo e a quel punto la traiettoria degli eventi è definita: l’Iran sa che soltanto la bomba può evitare il crollo del regime, dunque il programma nucleare accelera.

Con queste premesse, la strategia del regime è obbligata: dovrà tenere vivo il mito dell’atomica iraniana, chiunque sia al potere, anche se l’ayatollah Ali Khamenei venisse ucciso, perché altrimenti finirebbe la stessa ragion d’essere del Paese che si considera una grande potenza regionale. Dopo gli attacchi degli Stati Uniti, subito il regime ha fatto sapere che l’uranio arricchito nel sito di Fordow è stato messo in salvo.

Di spazi per la diplomazia non ce ne sono più, Israele ha sabotato gli ultimi negoziati con l’attacco del 13 giugno, gli iraniani non sono più credibili (hanno violato le disposizioni dell’agenzia dell’Onu Aiea) e neppure interessati.

D’altra parte, come evidente, l’Iran non ha le capacità militari per competere con Israele e men che meno con Israele e Stati Uniti. Per ora si limita ad azioni aggressive ma convenzionali – missili, niente armi biologiche, attentatori suicidi, o attacchi cyber – e con risultati modesti.

L’Iran è in trappola: se cede, il regime crolla e toccherà a qualche fazione militare prendere il potere e salvare il salvabile. Se combatte davvero senza risparmiarsi renderà palese la sua fragilità militare, oltre che di intelligence. Se resiste abbastanza a lungo, può sperare di costringere altri Paesi dell’area a dare un sostegno concreto, ma nessuno – a parte gli iraniani – è disposto a morire per Teheran.

Israele

Il premier Benjamin Netanyahu ha deciso da tempo di trasformare la strage del 7 ottobre 2023 in una opportunità di rinascita politica: soltanto la guerra permanente può evitargli i guai giudiziari domestici, il possibile arresto dalla Corte penale internazionale per i crimini di guerra a Gaza, e la crisi definitiva nei rapporti con la Casa Bianca.

Netanyahu sa che il giorno in cui si fermano le bombe, lui è un uomo politicamente finito. A meno che non diventi il rifondatore di un nuovo Israele, libero per sempre dal problema dei palestinesi (da uccidere, lasciar morire di stenti o costringere alla fuga) e da quello dei Paesi del Golfo che vogliono distruggere il Paese: l’Iran distrutto come prova di forza, l’Arabia Saudita recuperata come partner.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »