Guerra Ucraina Russia 2025: un conflitto infinito
02.09.2025 – 18:55 – “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”: mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. La celebre locuzione di Tito Livio sembra descrivere con amara precisione la situazione in Ucraina. Le diplomazie tergiversano, i summit si moltiplicano, ma la guerra non si arresta: anzi, continua a consumarsi, giorno dopo giorno, nello spazio ex sovietico. Come sottolinea Dragani, «questa è l’essenza di una guerra di logoramento: mentre la politica rincorre dichiarazioni e summit inconcludenti, i fronti si muovono, i territori cambiano mano, le vite vengono spezzate».
Danimarca e Cina: due scenari, due pesi diversi
Mentre a Copenaghen i ministri europei degli Esteri e della Difesa si riuniscono senza risultati concreti – al massimo nuove minacce di sanzioni – in Cina il presidente Xi Jinping convoca i leader di Russia, India, Iran, Turchia e altri venti Paesi membri della SCO. Una foto di rito eloquente colloca Putin alla destra di Xi: un gesto diplomatico che sottolinea centralità e gerarchie. Dragani osserva: «L’Europa discute di sanzioni, ma la vera architettura del futuro ordine mondiale si sta ridisegnando altrove, tra Pechino e Mosca. È lì che si decidono le geometrie di potere, non certo nelle sale riunioni della UE».
La situazione sul terreno
Il 30 agosto il generale russo Valery Gerasimov ha celebrato i risultati della campagna primavera-estate: un’offensiva “ininterrotta”, l’iniziativa “interamente russa” e un nemico costretto a spostare le truppe più esperte da un fronte all’altro. Kiev ha ribattuto il giorno dopo parlando di successi “esagerati” e di una campagna “conclusa pressoché in nulla”. La propaganda è evidente da entrambe le parti. Eppure, siti americani come l’Institute for the Study of War, pur filo-ucraini, ammettono conquiste russe a Lugansk, Donetsk, Zaporozhye e Kherson. Dragani, analizzando questi dati, spiega: «La guerra non è ferma: Mosca guadagna terreno, ma a prezzo altissimo. Il messaggio politico è chiaro: nessuna pace sarà possibile senza che le richieste russe vengano prese in considerazione».
Il nodo del Donbass
La regione mineraria del Donbass si conferma la chiave del conflitto. Trump avrebbe pressato Zelensky per un compromesso, ma il presidente ucraino è stato irremovibile, ricordando persino che suo nonno combatté per liberare quella terra dai nazisti. L’ex ministro degli Esteri Vadym Prystajko è stato lapidario: “È un boccone amaro, e Kiev dovrà ingoiarlo per forza”. Secondo Dragani, «Putin non vuole solo il Donbass: vuole usarlo come leva per delegittimare Zelensky davanti al suo popolo, mostrando che non è in grado di difendere nemmeno le terre più simboliche».
Un’Europa irrilevante
Nelle aule di Bruxelles si parla di nuove misure, ma sul campo la voce europea resta insignificante. Per Dragani,«l’Europa è ridotta a spettatrice: incapace di incidere, si limita a seguire Washington e a rivendicare principi che non traduce mai in azione».
Il fattore demografico: un’emorragia senza precedenti
Dal 1991 a oggi la popolazione ucraina è passata da 51 milioni a circa 20 milioni, secondo dati forniti dall’intelligence di Kiev. Un crollo demografico che pesa come un macigno. Tra diserzioni, corruzione e arruolamenti forzati, l’Ucraina non riesce più a garantire ricambi costanti al fronte. Dragani lo sintetizza con una frase amara: «Non è solo una guerra militare: è una guerra contro il tempo, e contro l’esaurimento di un intero popolo».
Conclusione
Chi ha vinto, allora, questa guerra che si trascina senza fine? La Cina, che ha usato il conflitto per entrare con forza nel quadrante europeo e in Asia centrale. In parte la Russia, che ha conquistato territori, pur pagando un prezzo politico e militare altissimo. E chi ha perso? L’Ucraina, illusa dall’Occidente, e l’Unione Europea, irrilevante e subalterna agli equilibri decisi prima da Biden e oggi da Trump. Dragani avverte: «Il rischio non è solo la sconfitta militare, ma la balcanizzazione del Paese: un’Ucraina frammentata, dilaniata e usata come pedina. Questo è lo scenario più plausibile, se la pace non arriverà».
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Stefano Dragani già generale di Brigata dell’Arma dei Carabinieri. Laureato in Scienze Politiche e in Scienze della Sicurezza, ha ottenuto anche un master di II livello in Studi Africani. Dopo incarichi operativi in Italia, ha svolto missioni internazionali in Albania, Kosovo, Ghana, Somalia, Ruanda e Belgio, lavorando come esperto di sicurezza e stabilizzazione in aree di crisi, anche per conto dell’Unione Europea. Ha tenuto docenze e seminari in Italia e all’estero – dall’Università di Padova alla Scuola Ufficiali dei Carabinieri, fino ai congressi ONU sul terrorismo globale – ed è stato special advisor sia del Ministro della Sicurezza della Somalia che delle forze di polizia di Rwanda e Uganda.
È autore di quattro saggi pubblicati da Fawkes Editions, casa editrice romana: “Frammenti di vita”(2022), dedicato alla sua lunga esperienza africana; “La Cavalleria: uno stile di vita” (2023), un affresco storico-militare; “Conflitti e parole” (2024), centrato sui rapporti tra Africa e grandi potenze; e “Un altro mondo” (2025), un’analisi attuale delle crisi in Medio Oriente e Ucraina. Ha vissuto sedici anni in Friuli Venezia Giulia, cinque dei quali a Sistiana, alle porte di Trieste, città a cui è profondamente legato. La sua visione internazionale si coniuga con una forte consapevolezza del ruolo strategico dell’Italia e del nostro territorio nel contesto geopolitico globale.
[f.v.]