Piemonte

Grotte di Aisone, un viaggio nel tempo


Istituita dalla Regione Piemonte nel 2019, la Riserva Naturale Grotte di Aisone è una piccola area protetta (26 ettari) in provincia di Cuneo. Sebbene vanti un significativo interesse avifaunistico e botanico, con specie rare di orchidee, il suo fulcro è il sistema di una trentina di cavità carsiche, note localmente come les barsiaio, che si sviluppano per circa due chilometri a monte del paese. Queste formazioni geomorfologiche, seppur poco profonde, hanno offerto riparo e ospitalità stagionale alle comunità umane dal Mesolitico (tra il IX e il VI millennio a.C.) fino all’Età Moderna, rendendole la più antica testimonianza di insediamento umano nelle Alpi sud occidentali italiane.

Le nuove indagini

Le indagini archeologiche e paleo-ambientali in quest’area, iniziate negli anni Cinquanta dal professor Ferrante Rittatore Von Willer dell’Università di Milano e proseguite in più riprese, hanno trovato nuovo slancio con il progetto 2025 “Viaggio nel tempo profondo attraverso le Marittime”. Promosso dall’Ente di gestione delle Aree Protette Alpi Marittime, in collaborazione con Unione Montana Valle Stura, Comune di Aisone, Politecnico di Torino e con la direzione scientifica dell’Università Statale di Milano e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Alessandria, Asti e Cuneo (SABAP-AL) e con il contributo della Fondazione CRC. Il progetto di ricerca iniziato dal partenariato nel 2022 è ispirato ad una visione dell’archeologia come “ecologia umana” del passato (Karl Butzer, 1934 – 2016) e nello specifico a comprendere l’evoluzione del rapporto uomo ambiente in una prospettiva diacronica con le conseguenti modifiche apportate dalle strategie insediative antropiche sui contesti geo-ambientali e le nicchie ecologiche.

Un mosaico di epoche emerso dagli scavi del 2005 

La quarta campagna di ricerche, condotta lo scorso luglio, si è concentrata sui Ripari 10 e 19 (siti di antichi insediamenti), portando alla luce un’impressionante successione di fasi di frequentazione.

Nel primo, le nuove indagini hanno individuato un lembo di deposito archeologico riferibile al Neolitico e, più in profondità, un livello con carboni che potrebbe confermare una frequentazione più antica, in particolare mesolitica, come attestato da alcuni reperti litici provenienti da vecchi scavi. Il sito continua a rivelarsi fondamentale per studiare le prime occupazioni della valle, in continuità con gli scavi storici di Rittatore e di Marica Venturino Gambari negli anni ’90.

Nel Riparo 19, l’ampliamento dello scavo ha restituito depositi con frammenti di ceramica e resti faunistici databili, in via provvisoria, alla seconda metà del V millennio a.C. La presenza di buche per palo suggerisce che l’area fosse strutturata come un ricovero temporaneo o stagionale. Particolarmente interessante è il carattere funerario indiziato dal ritrovamento di resti umani sparsi, possibili tracce di antiche sepolture sconvolte, forse legate alla vicinanza di una sorgente.

Per definire con esattezza l’antichità di questi reperti preistorici, in particolare la sequenza Neolitica e Mesolitica, si attendono i risultati delle nuove analisi al radiocarbonio, fondamentali per ottenere datazioni precise e lo studio di dettaglio sui reperti.

La Scoperta della “Signora di Aisone” del ‘500

La rivelazione più significativa di questa campagna è emersa proprio nel Riparo 19: la sepoltura intatta di un individuo femminile in età adulto-senile. La fossa, scavata nello strato di terreno sterile, ha custodito i suoi resti per secoli.

La datazione al radiocarbonio, eseguita dal Radiocarbon Dating Laboratory di Bruxelles, colloca l’inumazione tra la seconda metà del 1400 e l’inizio del 1600 (Età Moderna). Questa cronologia, relativamente recente rispetto all’utilizzo preistorico del sito, è stata sorprendentemente corroborata dall’analisi del tartaro dentale, che ha rivelato la presenza di amido di mais – cereale giunto in Europa solo dopo la scoperta dell’America.

Le analisi che sono state effettuate sugli isotopi del carbonio mostrano che la sua dieta doveva essere basata quasi interamente sul consumo di piante C3 (es. grano), senza consumo di piante C4 (es. mais). Questo significa che potrebbe trattarsi delle primissime fasi di introduzione del mais nella zona. Gli archeologi del team di progetto hanno spiegato che le analisi svolte sugli isotopi dell’azoto fanno ipotizzare un basso consumo di carne da parte della defunta.

Nonostante la datazione, la deposizione in posizione supina e l’assenza totale di corredo funebre richiamano in parte le tradizioni sepolcrali preistoriche, rendendo la sepoltura estremamente significativa e “anomala”, come sottolineato dal professore dell’UniMI Umberto Tecchiati. L’originalità del ritrovamento sta nel fatto che nell’Età Moderna era consuetudine l’inumazione in luoghi consacrati, come i sagrati o cimiteri parrocchiali. La presenza di questa donna in un riparo sotto roccia, lontano dagli spazi sacri, suggerisce che la “Signora di Aisone” potesse essere una persona vissuta ai margini della comunità o in condizioni sociali particolari. Questa anomalia fornisce un’opportunità unica per approfondire la conoscenza dell’uso delle grotte in età storica e delle dinamiche sociali meno note della valle.

Attualmente, lo scheletro è oggetto di analisi specialistiche presso il laboratorio Bagolini dell’Università degli Studi di Trento, con l’obiettivo di ricostruire il suo stato di salute, l’attività svolta in vita e le possibili cause di morte.

Aisone, un sito di importanza paleontologica e archeozoologica

Oltre all’archeologia umana, le Grotte di Aisone sono un ricchissimo sito paleontologico e soprattutto archeozoologico. La quantità di reperti faunistici recuperati è imponente e fornisce un quadro della fauna della valle e delle abitudini alimentari dei suoi occupanti, attraverso le diverse epoche. Tra i resti di animali identificati spiccano: stambecco, cervo, cinghiale, lupo e orso bruno non mancano poi quelli di domestici come pecora, capra, maiale e bue.

L’analisi definitiva di questi resti contribuirà a chiarire le strategie di sussistenza e il rapporto con l’ambiente delle comunità che stagionalmente occupavano le grotte.

Le foto di questo articolo sono di G. Bernardi

 


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