Grazie sinistra, ora mi avete convinto a dire sì al Ponte sullo Stretto – Il Tempo

Vi ringrazio, con tutto il cuore. Voi critici irriducibili del Ponte sullo Stretto mi avete convinto. E aggiungo: finalmente. Mi avete convinto totalmente, sonoramente, per molti versi clamorosamente. Mi avete convinto a dire sì, ora e sempre, a quest’opera. Mi ha convinto Michele Serra, con il suo intervento su Repubblica del 7 agosto. Serra, con il suo tono da intellettuale disincantato, ci invita a scegliere l’ordinario anziché lo straordinario. Manutenzione delle strade, bonifica dei terreni, depurazione delle acque, scuole e ospedali moderni: queste le priorità, non un ponte «sospeso tra due regioni povere». Pura follia, caro Serra. Seguire questa logica miope significherebbe, nella Roma del 1506 (il 18 aprile per la precisione, quando Papa Giulio II pone la prima pietra della Basilica di San Pietro, con la direzione dei lavori del Bramante), rinunciare alla sua cupola perché «prima sistemiamo le fogne».

L’Italia è grande per aver osato lo straordinario, non per essersi accontentata di rattoppare l’esistente. Il progresso non è un «aut aut», è un «e»: facciamo entrambe le cose, con visione e coraggio. Poi c’è Emanuele Codacci Pisanelli, intervistato sul Fatto Quotidiano sempre il 7 agosto. Lui, ingegnere di ponti con curriculum internazionale, snocciola eccezioni tecniche da far tremare i polsi: cavi d’acciaio inadeguati, peso dell’impalcato eccessivo, venti che deformano la struttura, rischi sismici e aerodinamici non verificati a dovere. E conclude: «Progetto vecchio e pieno di assurdità, dovremmo ricominciare da capo».
No, ingegnere, con rispetto per la sua expertise. Sono decenni che si studia questo ponte, con tonnellate di relazioni, simulazioni e aggiornamenti. Siamo pronti a partire. Le grandi opere nascono così: si inizia con un piano solido, e mentre si lavora si affinano i dettagli, si risolvono i nodi critici con l’innovazione sul campo. Pensi al Canale di Suez, alla Torre Eiffel o al Tunnel della Manica: quante obiezioni tecniche all’inizio? Eppure, eccoli lì, simboli di progresso. Questo ponte non è solo cemento e acciaio: è un’occasione per dimostrare che l’Italia sa ancora costruire capolavori, attirando investitori globali e talenti, rilanciando il Sud come hub del Mediterraneo. È tempo di agire, senza paura.

Diciamolo, una volta per tutte. Quest’opera è anche, o forse innanzitutto, un manifesto mondiale di un’Italia che osa, che gioca al massimo livello e vince la sfida della tecnologia, del futuro, del progresso. È un catalizzatore di energie verso la nazione intera, in un mondo che vive sempre più di «totem». No Serra, non vogliamo vivere di ordinaria amministrazione. No Codacci Pisanelli, non vogliamo ricominciare da capo.
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