Grand Hotel et de Milan, vero monumento dell’ospitalità meneghina
Non ci stancheremo mai di dirlo. Milano non è più la città grigia dove si va per affari. Da qualche anno è entrata nella lista delle mete del turismo internazionale e si sta evolvendo in una capitale dell’arte, della cultura e del lifestyle italiano contemporaneo. In una parola è la città più internazionale d’Italia. (Perdonate l’entusiasmo, ma dopo anni di trascuratezza noi milanesi siamo molto orgogliosi di questo presente, ndr). Anche la scena dell’ospitalità è in grande rinnovo, con recenti aperture e annunci interessanti entro il 2026, quando Milano ospiterà le Olimpiadi invernali insieme a Cortina. Comunque i milanesi, pur curiosi delle novità, sono sempre affezionati ai loro posti tradizionali. E diversamente da quanto accadeva in altre città, da sempre frequentano gli alberghi storici del centro. Il pranzo, di lavoro o di piacere, al Grand Hotel et de Milan è un classico.
Luogo amato da celebrities
Al Gerry’s Bar e al bistrot sono passate generazioni e certo non sfuggivano le celebrities alla signora Bertazzoni che dal 1969 gestisce questo monumento dell’accoglienza meneghina con passione ed entusiasmo. Circondata dai saloni tutti specchi e boiserie, elegante e sofisticata nei suoi ottant’anni stupendamente portati, preferisce recitare a voce l’albo d’oro con tanto di aneddoti. E Rudolf Nureyev, e Marcello Mastroianni, e Hernest Hemingway, Orhan Pamuk, e Ornella Vanoni, il mondo della cultura di passaggio si è fermato qui, in via Manzoni, davanti a via Montenapoleone, di fianco alla deliziosa piazzetta alberata con il monumento a Pertini disegnato da Aldo Rossi, l’architetto e designer, anche lui milanese da Hall of Fame. Sicuramente l’ospite più importante del Grand Hotel è Giuseppe Verdi. Il compositore ha trascorso lì gli ultimi anni della sua vita (fino alla fine) in una suite – presidenziale diremmo oggi – che conserva ancora molte sue tracce, come i ritratti e la sua scrivania personale. D’altra parte la posizione era strategica: solo 674 passi dal Teatro alla Scala, dove l’hotel organizza visite guidate solo per i suoi ospiti (imperdibile).
Menù a cura di Gennaro Esposito
Ma non è tutto amarcord e tradizione. Pur restando saldamente fedele al proprio passato, l’hotel è sempre attuale. La signora Daniela, oggi affiancata dalla figlia Alissia Mancino, è un vulcano di idee. Si è giustamente rivolta a Dimorestudio per modernizzare senza stravolgere il sontuoso salotto, il bar, il bistrot. E i due architetti Emiliano Salci e Britt Moran hanno usato fantasie floreali, velluti colorati, tocchi di rosa e verde per non stravolgere l’atmosfera. Quando si entra quasi non ci si accorge dei cambiamenti. Sembra tutto lì da sempre, ma con una freschezza che non mente. Più audace la scelta gastronomica. C’è dietro una passione scoppiata in modo irrimediabile con lo chef Gennaro Esposito. La sua pasta al pomodoro e i suoi piatti semplici e genuini per il bistrot, il suo estro (ha due stelle Michelin alla Torre del Saracino di Vico Equense) per il Don Carlos, il ristorante gourmet in stile club inglese con le pareti verde pineta e decine di quadri appesi uno vicino all’altro come in una pinacoteca.
Insomma al Grand Hotel et de Milan si osa. Ma soprattutto ci si sente bene. Il camino, i drappi. Il tè del pomeriggio. L’aperitivo con le noccioline al wasabi e le peschiole. Le bollicine nell’inaspettata cantina con i resti delle mura romane e centinaia di bottiglie italiane e francesi stipate negli scaffali. Se è vero che esiste una Milano ospitale, affascinante, di gusto, tradizionale, la sua storia comincia proprio qui.
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