Google Play Integrity: le nuove regole bloccano app su Android con root o ROM
Durante il Google I/O 2025, Google ha annunciato un cambiamento importante che rischia di mettere in difficoltà tanti utenti Android avanzati. Parliamo della Play Integrity API, uno strumento che serve agli sviluppatori per verificare se un’app gira su un dispositivo considerato sicuro. Da questo mese, con le patch di sicurezza di maggio, le regole sono cambiate per tutti e non c’è più scampo per chi ha rootato il proprio smartphone o installato una custom ROM alternativa.
Per l’utente medio non cambia molto, ma per chi personalizza Android il rischio è concreto: app bancarie, di pagamento o anche solo alcuni giochi potrebbero non aprirsi più. E se pensate che basti poco per risolvere il problema, vi sbagliate: i nuovi controlli che Google ha reso obbligatori si basano su componenti hardware, molto più difficili da aggirare rispetto al passato.
Come funziona il controllo Play Integrity API
La Play Integrity API è un sistema usato dagli sviluppatori per capire se un’app sta girando su un dispositivo Android certificato e non modificato.
In pratica, serve a bloccare chi prova a barare, rubare dati o usare funzioni a pagamento senza aver pagato davvero.
Fino a qualche mese fa, chi aveva il root o una ROM personalizzata riusciva comunque a usare quasi tutto, perché i controlli erano abbastanza morbidi. Ma da dicembre 2024, Google ha iniziato a rafforzare i requisiti, e da maggio 2025 tutti gli sviluppatori sono passati in automatico ai nuovi standard più rigidi, senza dover aggiornare le proprie app.
La Play Integrity API può dare tre tipi di “verdetto”:
- Basic integrity: è il controllo più leggero. In certi casi, passa anche con root attivo o bootloader sbloccato.
- Device integrity: da quest’anno usa segnali hardware, quindi riconosce facilmente se un dispositivo è modificato.
- Strong integrity: richiede anche che il telefono abbia ricevuto una patch di sicurezza recente, entro l’ultimo anno.
Più un’app è sensibile (bancaria, medica, di pagamento, ecc.), più è probabile che scelga di richiedere “device” o “strong” integrity.
E se il nostro smartphone non soddisfa i requisiti, l’app non parte proprio. Senza messaggi chiari, senza possibilità di forzare nulla.
Quali app non funzionano più
Chi ama personalizzare Android, sbloccando il bootloader o installando una ROM diversa da quella originale, ora si trova di fronte a un ostacolo serio. Le nuove regole imposte da Google rendono quasi impossibile continuare a usare il telefono come prima, almeno se si vuole accedere a tutte le app senza problemi.
Il motivo è semplice: per Google, un dispositivo è “genuino” solo se monta un firmware certificato. Le ROM alternative non lo sono quasi mai, e anche solo sbloccare il bootloader fa scattare i controlli. Con i nuovi segnali hardware, non basta più un trucco software per aggirare i blocchi. Il sistema sa che il dispositivo è stato modificato e agisce di conseguenza.
Le app che potrebbero smettere di funzionare sono quelle che richiedono più controlli di sicurezza, come ad esempio:
- Home banking e portafogli digitali come Google Wallet o Satispay;
- App mediche che gestiscono dati sensibili;
- Servizi di pagamento, anche per ricariche e micropagamenti;
- Giochi online che vogliono prevenire cheat e accessi non sicuri;
- App di streaming che proteggono i contenuti da violazioni di copyright.
Per chi usa ROM personalizzate o root, questo significa dover scegliere: tornare al firmware originale, oppure affidarsi a soluzioni rischiose come i keybox leak, che richiedono certificati rubati o trapelati.
Una strada instabile, incerta e spesso non legale.
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