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Gloria o trappola. Il tycoon sfida gli spettri Usa

Ora Donald Trump ha due prospettive. La più propizia è quella di passare alla storia come il presidente capace di vendicare la memoria dei 52 americani tenuti in ostaggio, 46 anni fa, all’interno dell’ambasciata americana di Teheran. La seconda è quella di ritrovarsi vittima della stessa maledizione iraniana che trascinò nella polvere Jimmy Carter. Una maledizione che tutti i successivi presidenti si son ben guardati dall’affrontare. Il bivio tra la gloria e la polvere si aprirà a breve. Se i colpi inferti alle tre infrastrutture nucleari di Esfahan, Natanz e Fordow si riveleranno decisivi e se gli iraniani non reagiranno allora Trump avrà mezzo piede nei libri di storia. I problemi incominceranno in caso di reazione iraniana. Se i pasdaran tenteranno di chiudere lo stretto di Hormuz e i missili di Teheran, o di qualche milizia sua alleata, colpiranno le basi americane in Medioriente il cammino nella storia si farà più complesso. Anche perché a quel punto Trump dovrà darsi un obbiettivo diverso dalla già avvenuta distruzione dei siti nucleari. La mancata accettazione della cosiddetta «resa incondizionata» proposta a Teheran dalla Casa Bianca costringerebbe il Pentagono a mettere mano ai piani per la decapitazione del regime. In questo modo Trump si ritroverebbe perfettamente allineato all’amico e alleato Netanyahu. Con qualche differenza. Netanyahu combatte per restare al potere – e lo resterà anche in caso di successo limitato. Trump invece dovrà rispettare gli impegni e far cadere il regime con cui avrà aperto un duello mortale. Ma ribaltare un regime utilizzando esclusivamente la forza aerea è un successo che l’America non ha mai raggiunto. La guerra in cui ci andò più vicina fu quella ai talebani del 2001. Anche lì, però, senza la spinta finale dell’Alleanza del Nord Kabul non sarebbe caduta. In un Iran dominato da regime istituzionalmente assai strutturato l’eliminazione della Suprema Guida a colpi di bombe probabilmente non sortirebbe alcun effetto. E non solo perché Alì Khamenei ha già nominato tre successori, ma anche perché non esiste una reale opposizione. E soprattutto perché non esiste un nemico interno in grado di affrontare un apparato di sicurezza composto da 150mila pasdaran e qualche centinaio di migliaio di miliziani Basiji.

E proprio questo rischia di aprire le porte all’azzardo più indesiderato ovvero un intervento di terra. Una scelta capace di trascinare nella polvere il presidente arrivato alla Casa Bianca grazie alla promessa di evitare come il peccato le «guerre senza fine» intraprese dai suoi predecessori.


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