Politica

Gli artisti evitino stereotipi, linguaggi tossici e la romanticizzazione della violenza nelle loro canzoni

Un appello agli artisti perché “evitino stereotipi, linguaggi tossici o la romanticizzazione della violenza nei testi delle canzoni”. Gino Cecchettin – fondatore e presidente della Fondazione Giulia Cecchettin, nata un anno dopo il femminicidio della figlia 22enne commesso dall’ex fidanzato Filippo Turetta – ha deciso di scrivere una lettera aperta ad artisti, musicisti e cantanti. Un messaggio inviato in occasione della decima edizione di Aperyshow Charity Event, l’iniziativa che si svolge ogni anno ad Arsego (Padova).

Cecchettin, da circa un anno, è impegnato a fare formazione nelle scuole, per diffondere una cultura votata all’educazione emotiva, alla lotta contro la violenza di genere e al sostegno delle vittime che quella violenza l’hanno toccata con mano. E ha deciso di rivolgersi direttamente la mondo della musica. Perché chi scrive, canta e produce musica ha una responsabilità. Responsabilità educativa, perché la musica diffonde contenuti e siamo “noi” a decidere se mettere quei contenuti al servizio di una cultura che promuova rispetto, uguaglianza, libertà. “Le parole che scegli, i messaggi che trasmetti, arrivano a migliaia di giovani, e lasciano tracce”, si legge nella lettera. “Ti invito a considerare la possibilità di lasciare da parte quei contenuti che – consapevolmente o no – possono alimentare una cultura della sopraffazione”. Una lettera rivolta all’artista, a qualsiasi artista, a cui Gino Cecchettin scrive ricordando anzitutto la figlia: “A Giulia sarebbe piaciuto stasera ballare e cantare assieme ai suoi coetanei, lei non ballerà più, non ascolterà più nessuna canzone o concerto. Il motivo presumo che tu lo sappia, colui che diceva di amarla ha deciso per lei il suo destino di vita“.

Insieme alla lettera, la Fondazione ha redatto anche due vademecum. Uno rivolto ai cantanti, l’altro alle case discografiche, per suggerire linguaggi rispettosi, parità di genere e inclusione nelle produzioni musicali e nei contesti professionali. Un appello, si legge nel vademecum rivolto ai cantanti, a “non romanticizzare la violenza e la gelosia” perché “la violenza, fisica o psicologica, non è mai un atto d’amore e nemmeno la gelosia”. La musica può “sostenere la consapevolezza emotiva” e rinunciare alle ingiurie perché “denigrare non è arte“. Il vademecum rivolto alle case discografiche invece raccoglie in sé cinque messaggi chiari, a partire dal sostegno per la carriera di artiste donne, fino alla parità salariale e all’abbattimento di atti discriminatori e sessisti. In nome di un ambiente “sicuro e rispettoso. Le donne devono sentirsi al sicuro in ogni ambiente professionale, sia sul palco sia fuori”.

Un’azione culturale che auspica il coinvolgimento dei principali attori dell’industria musicale italiana e che vuol far riflettere sulle risonanze ed il potere delle parole. E anche la musica entra nei discorsi di genere in modo distruttivo o costruttivo, perché può “costruire ponti o alzare muri”: gli artisti, i produttori ed i professionisti del settore possono scegliere se prendere una posizione, possono decidere di “cambiare spartito“- come scrive Cecchettin nella lettera – per aggiungere la loro voce al grido di uguaglianza e dignità. “Abbiamo bisogno della tua arte. Abbiamo bisogno che dica libertà, dignità, amore, bellezza. Abbiamo bisogno di artisti che sappiano anche cambiare spartito”.

L’iniziativa di Gino Cecchettin si colloca all’interno dell’impegno strutturale portato avanti dalla Fondazione, impegnata in percorsi formativi rivolti a scuole, aziende ed organizzazioni, e in interventi trasversali in diversi ambiti sociali.


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