Società

Gli altri «bambini del bosco», storia di una scelta possibile

All’inizio erano una manciata di persone. Poi, come se questo nucleo fosse un centro attrattivo, tra il passaparola e il caso, sono arrivati a essere oltre 30 famiglie, diverse tra loro ma che condividono uno stesso modo di pensare. Sono diventati una sorta di «villaggio culturale diffuso» che ha spazi comuni dove si ritrovano, dove organizzano cene, feste, mercatini artigianali, corsi, incontri, presentazioni di libri. Hanno definito il loro senso come comunità confrontandosi di riunione in riunione, perché qui le decisioni (anche quella di rimanere anonimi in questo articolo) si prendono insieme. «Da noi non esistono gerarchie, ma una “sociocrazia”, decidiamo con un sistema di “cerchi di cerchi”: diamo ad alcuni la responsabilità momentanea di determinati progetti fino a quando non sono realizzati. Abbiamo imparato a non perderci in questioni di ego, ma a considerare i risultati», spiega Giovanni. «Per noi è importante anche il modo in cui stiamo insieme e che ognuno abbia una consapevolezza emotiva strutturata: per esempio scegliamo di esprimere le emozioni in modo diretto, per evitare atteggiamenti manipolativi inutili».

Chi sono queste persone? Hanno tra i 25 e i 50 anni, credono nella collettività, non fanno una vita estrema, non sono una setta, non vogliono cambiare il sistema, ma vogliono sperimentare un mondo diverso. Vivono in valli laterali, ognuno ha una casa propria, hanno l’acqua corrente ma preferiscono la sorgente, sono allacciati alla linea elettrica ma usano perlopiù i pannelli solari, mentre il riscaldamento è quello della stufa a legna o di sistemi più sostenibili. Qui la campagna è dolce, la natura importante, hanno animali e coltivano la terra: hanno un orto comune, una vigna e un castagneto, un campo di patate e aglio, un progetto con grano e farina. Lavorano il necessario, usano il tempo libero per stare insieme e divertirsi, tendenzialmente non hanno i social e nemmeno WhatsApp e il telefono lo usano solo quando serve.

Partecipano al mondo della città? Anche quello, solo quando serve. Vanno a fare la spesa, lavorano, sono architetti, insegnanti, scrittori, artisti, frequentano la società, ma preferiscono la natura e la loro vita è tra le valli. Ora che i bambini sono cresciuti li hanno mandati alle scuole vicine, una scelta di compromesso, anche se dal punto di vista teorico in molti avrebbero preferito l’homeschooling, l’educazione parentale come quella scelta dalla «famiglia del bosco» abruzzese al centro delle cronache di queste settimane, che si basa sulla soddisfazione della curiosità dei bambini e non su programmi didattici predefiniti.

A Torri Superiore, l’eco-villaggio dove si reinventa lo stare insieme

Siamo stati in Liguria dove 35 anni fa è nato uno dei primi eco-villaggi italiani che ha voluto rifondare un nuovo modello di società, inclusivo, partecipato ed ecologico. Coltivazioni biologiche, pannelli solari, attenzioni allo spreco, e soprattutto, una comunità che sa (ancora) vivere insieme

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ecovillaggio torri superiore

Una scelta che secondo i dati di Laif, L’Associazione Istruzione in Famiglia, riguarda 10-15 mila nuclei famigliari in Italia. «Preferirei anche io avere mia figlia a casa: la scuola tende ad avere carenze sia sul piano educativo-relazionale sia su quello spirituale», dice Giovanni. «Dietro ai banchi i bambini vengono a contatto con un mondo che esercita un forte condizionamento culturale e induce a bisogni indotti. Io sono felice di comprare una bambola a mia figlia perchО risponde al bisogno primario del gioco simbolico, ma continuare a cambiare bambole secondo le mode è un bisogno secondario. Non voglio vivere il paradosso di chi usa il proprio tempo per lavorare così da poter comprare oggetti non essenziali per compensare il bisogno creato dalla sua stessa assenza. Questo per dire che capisco bene la volontà della famiglia del bosco abruzzese di far crescere un individuo integro al di fuori di una società difficile come quella attuale. Anche noi vogliamo formare adulti migliori per creare un mondo diverso, d’altro canto però, a differenza loro, sono convinto che per crescere un bambino serva un villaggio, e che avere un gruppo di adulti di riferimento e tanti bambini come pari sia la forma migliore per accompagnare un individuo in una crescita sana».

In questo bosco, in questa comunità spontanea, non ufficiale che vive nel dialogo, dopo la scuola gli adulti si dedicano a vivere la vita insieme ai figli e a realizzare i loro sogni: camminano nei boschi, raccontano storie, imparano a gioire di quello che la natura regala. Sotto la cascata hanno messo una vasca da bagno per avere una piscina magica tutta per loro. Coltivano la propria libertà, che per loro si chiama comunità.

Questo articolo è pubblicato sul numero 50 di Vanity Fair in edicola fino al 9 dicembre 2025. Per abbonarvi a Vanity Fair, cliccare qui.


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