Gli allevamenti intensivi violano i diritti umani, dice un tribunale spagnolo: e in Italia?
In Spagna un tribunale ha stabilito che gli allevamenti intensivi violano i diritti umani e ambientali di chi abita nelle aree limitrofe. Da queste parte, invece…

Nella regione di A Limia, Galizia, si contano circa 20 mila residenti. Ne sono bastati sette, però, a mettere in moto una sentenza storica: l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi viola i diritti umani e ambientali di chi abita nelle zone limitrofe.
Il Tribunale superiore di giustizia della Galizia ha condannato il governo regionale e l’ente nazionale spagnolo incaricato della gestione delle risorse idriche per avere compromesso la salute pubblica della zona in oggetto, e più precisamente nelle aree circostanti il bacino idrico di As Conchas.
Le condizioni di vita, spiegano i giudici, sono a oggi “intollerabili”: le autorità condannate sono tenute a porre rimedio immediato, garantendo acqua sicura ai residenti, e a stanziare un risarcimento di mille euro al mese ai cittadini coinvolti fino a un massimo di 30 mila euro a cranio.
Il paragone con lo Stivale
Il copione dell’accusa, a dire il vero, è piuttosto intuibile a chiunque non abbia interesse a tenere le fette di prosciutto sugli occhi. La terra risulta satura di nitrati, l’aria è appestata da odori nauseabondi e le falde acquifere sono contaminate al punto che gli stessi residenti non si fidano a bere l’acqua pubblica.
Le analisi condotte dal personale chimico hanno dato verità scientifica alle intuizioni dei residenti. Nell’ambiente sono stati ritrovati batteri resistenti agli antibiotici, e nelle acque del fiume Limia sono stati rilevati livelli di nitrati nell’acqua fino a mille volte superiori a quelli normali. Il dado è tratto, dunque: c’è negligenza grave da parte delle autorità locali competenti. La sentenza è la prima del suo genere. E in Italia, dunque?
C’è chi sostiene che il paragone sia il ladro della felicità, e con cognizione di causa. Sbirciare il prato del vicino, però, può anche essere utile esercizio di consapevolezza. A oggi l’Italia è uno dei primi Paesi in Europa per vendite e utilizzo di antibiotici negli allevamenti (e vale la pena ricordare che Ettore Prandini, numero uno di Coldiretti, ha dichiarato in pubblico di essere contro la carne coltivata proprio perché “ci vogliono gli antibiotici”); secondo la più recente Relazione Ispra-Sintai diverse falde del Settentrione presentano concentrazioni di nitrati superiori ai limiti di legge (50 mg/l) e in Lombardia, epicentro nazionale dell’allevamento intensivo, una percentuale importante dell’inquinamento è proprio legato a queste attività.
Le mele marce sono parecchie. Solamente una manciata di giorni fa Giulia Innocenzi di Food for Profit ha denunciato due allevamenti lombardi traboccanti di carcasse in decomposizione o cannibalizzate, feci e galline prive di piume per lo stress. Il ministro Lollobrigida non sembra troppo preoccupato, però: basti pensare a quando ha candidamente ammesso di essere venuto a conoscenza di Food for Profit – documentario trasmesso al Parlamento europeo, al Parlamento italiano e in più consigli regionali! – solo grazie alla messa in onda di Report, e di averlo comunque trovato un tentativo di “criminalizzazione dei nostri allevatori”. Com’era l’erba del vicino?
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