gli affari sporchi della mala cinese nella Capitale
Roma, quartieri silenziosi, insegne luminose in ideogrammi, attività apparentemente insospettabili. È qui che si muove, nell’ombra e senza clamore, la criminalità cinese che, a differenza delle tradizionali mafie nostrane, non cerca la forza del territorio, ma il controllo degli affari.
Niente gerarchie granitiche, niente riti d’iniziazione, niente boss in giacca bianca e codici d’onore. I ruoli all’interno delle organizzazioni cinesi sono flessibili, funzionali.
Ne è prova l’indagine condotta tempo fa dal pm Pierluigi Cipolla, che ha fatto luce su un sistema complesso e radicato, quando smascherò un giro di droga con base operativa in un night club frequentato da clienti altospendenti e protetto da un rigoroso codice di silenzio
Chi ha il denaro e la capacità di far girare gli affari, guida. Finché può. Poi passa il testimone. Un sistema che si mimetizza perfettamente nei meccanismi della globalizzazione e che fa della discrezione la sua arma più affilata.
A Roma, il baricentro delle operazioni si muove tra l’Esquilino e la periferia est, in un reticolo di case, laboratori tessili, centri massaggi e locali notturni. Qui si intrecciano i traffici illeciti: dallo spaccio alla prostituzione, dalla contraffazione al riciclaggio.
Il racconto delle indagini più recenti, parlano di attività criminali mascherate da esercizi commerciali, di flussi di denaro costantemente spostati tramite canali informali come l’hawala, spesso difficilissimi da tracciare.
Non è un caso che, nelle intercettazioni, non compaiano mai parole di sfida o richiami all’onore, come accade con i clan mafiosi tradizionali.
Piuttosto, il linguaggio è quello del commercio, del profitto, della gestione del rischio. “Non si fanno vedere, non alzano la voce. Ma sono ovunque” spiega un investigatore che segue da anni il fenomeno.
Ed è proprio questa invisibilità a rendere la mala cinese ancora più difficile da combattere. Non cerca consenso sociale, non spara per le strade, non chiede il pizzo.
Ma nel frattempo si infiltra nei gangli del tessuto urbano, nella gestione di fondi neri, nella compravendita di merce contraffatta, nella gestione di manodopera sfruttata e spesso clandestina.
Sono diverse le indagini coordinate dalla Procura di Roma che spesso si concentrano proprio su questa dimensione sommersa: una rete capillare che si alimenta della mancanza di controlli, del silenzio di chi sa ma non denuncia, della paura o della rassegnazione.
A Roma, il dragone non ruggisce. Ma respira. E lo fa, ogni giorno, più vicino di quanto immaginiamo.
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