Società

«Giustizia per nostro figlio», i genitori di Satnam Singh, bracciante morto sul lavoro un anno fa, sono arrivati in Italia

Chiede «giustizia» per suo figlio». La madre di Satnam Singh è arrivata in Italia con il marito e gli altri figli, grazie a un viaggio organizzato dalla Cgil, per commemorare il figlio morto in condizioni atroci un anno fa, il 19 giugno 2024, in un’azienda agricola nelle campagne di Latina.

Il loro viaggio è cominciato nel Punjab, regione del nord dell’India da cui Satnam Singh era partito tre anni fa con la moglie Sony. In tasca avevano sogni, speranze, e il desiderio di costruirsi una vita migliore in Europa. Invece Satnam ha trovato la morte in un campo, stritolato da un macchinario avvolgi-plastica mentre lavorava in nero, senza protezioni né tutele.

Aveva 31 anni Satnam Singh, ed è morto dissanguato dopo che il macchinario gli aveva tranciato il braccio destro e schiacciato entrambe le gambe. Il trauma cranico è stato devastante. Ma ciò che ha sconvolto l’opinione pubblica è anche quanto è accaduto dopo: il titolare dell’azienda non ha chiamato i soccorsi, non lo ha accompagnato in ospedale. Lo ha caricato su un furgoncino e lo ha scaricato davanti a casa. L’arto amputato era stato infilato in una cassetta della frutta. Poi è fuggito.

«Ho visto tutto», aveva raccontato Sony, 26 anni, moglie di Satnam, anche lei bracciante impiegata in nero nella stessa azienda. «Ho implorato il padrone di portarlo in ospedale ma lui doveva salvare la sua azienda agricola». E ancora: «Il padrone ha preso i nostri telefoni per evitare che si venisse a sapere delle condizioni in cui lavoriamo. Poi ci ha messo sul furgone togliendoci la possibilità anche di chiamare i soccorsi».

Secondo le testimonianze raccolte anche dalla Flai-Cgil, Satnam sarebbe rimasto agonizzante per almeno un’ora e mezza prima dell’arrivo dell’ambulanza. Troppo tardi. I medici del San Camillo di Roma hanno dovuto dire a Sony che il marito non ce l’avrebbe fatta: aveva perso troppo sangue, le fratture erano estese, il trauma cranico irreversibile. Al telefono con i suoi genitori, la donna ha pronunciato una frase che suona come una sentenza amara: «Io sono indiana, l’Italia non è un Paese buono».

A un anno di distanza, la famiglia di Satnam Singh parteciperà a una serie di incontri commemorativi e istituzionali. Accompagnati dalla Cgil, i genitori del bracciante sono stati ricevuti oggi dal presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca. «Il fatto che vediate tutte le istituzioni schierate significa che siamo una cosa sola rispetto a questa vicenda», ha dichiarato Rocca, «per continuare a impegnarci affinché tragedie come questa non accadano mai più. Quella non è l’Italia che amiamo. Amiamo invece quella del padrone di casa che offrì un alloggio a Satnam e di chi se ne è preso cura».

Il padre di Satnam Singh ha detto: «Vorrei restare in Italia per la durata del processo. Ho fiducia nella giustizia». Una richiesta che Rocca ha accolto con favore: «È un loro diritto. Ne parleremo con la Cgil che si è fatta carico delle spese di trasporto e alloggio in questi giorni. Sicuramente non ci tireremo indietro».

Domani la famiglia sarà ricevuta al Comune di Cisterna di Latina, dove Satnam viveva con la compagna. Sarà scoperta una targa commemorativa. Il 17 luglio sono previsti due incontri: uno al mattino con il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, e uno al pomeriggio con la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro, al Senato.

«È un fatto per noi importante nell’azione di aiuto concreto ai familiari di Satnam e Sony», ha spiegato la Cgil in una nota, «che da più di un anno stiamo portando avanti anche grazie alla generosità di tante persone. Un impegno che prosegue anche in sede legale».


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