giudice le dà ragione, venditori condannati a restituire tutto
Firma il contratto preliminare per l’acquisto di una casa, versa la caparra e numerose rate, ma poi scopre che l’immobile è all’asta. Recede subito dal contratto, ma il venditore si rifiuta di restituire caparra e pagamenti, sostenendo che non aveva diritto a stracciare il contratto preliminare. Il giudice del Tribunale civile di Perugia, dopo un lungo processo, dà ragione alla donna e condanna il venditore a restituire tutte le rate pagate più il doppio della caparra.
La signora, assistita dall’avvocato Francesco Brozzi, nel 2016 sottoscriveva con tre fratelli un preliminare di compravendita avente ad oggetto un immobile pattuendo la somma di 180.000 euro. Accettata la proposta e firmato il preliminare, i tre fratelli ricevevano 60mila euro di caparra e si obbligavano a vendere il “bene libero da iscrizioni pregiudizievoli”. Per accordi tra le parti, poi, la vendita veniva spostata di un anno, mentre la signora continuava a pagare i ratei concordati, versando altri 90.000 euro a titolo di acconto, per un totale di 150.000 euro. Cui si aggiungono altri 80mila euro in due rate per la conclusione dell’acquisto.
All’avvicinarsi della data del contratto definitivo, però, i venditori pur incassando le somme, “rimanevano tuttavia sfuggenti allorquando si trattava di stipulare la compravendita”. A dieci giorni dalla firma dell’atto, “emergeva che sull’immobile oggetto di compravendita”, una banca “aveva trascritto un pignoramento immobiliare sin dal 12.09.2007 (ben dieci anni prima)”. Non solo i venditori non avevano informato l’acquirente, incassando i soldi versati, ma anche “l’agenzia mediatrice pretendeva ed otteneva pure il pagamento della provvigione”.
La signora, tramite l’avvocato, “denunciava le gravi criticità riscontrate che di fatto impedivano il perfezionarsi della compravendita pattuita e, pertanto, richiedeva la restituzione del doppio della caparra oltre alla restituzione delle somme versate in acconto”. I venditori, assistiti dall’avvocato Massimo Lipparini, contestavano la richiesta della donna e trattenevano la caparra sostenendo che non aveva diritto a ritirarsi e, quindi, alla restituzione delle somme.
Il giudice del Tribunale civile di Perugia ha ritenuto che “la stessa documentazione agli atti conferma la validità delle richieste formulate da parte attrice (cioè la signora, ndr) atteso che l’esercizio del diritto di recesso dal contratto preliminare di cui è causa, comporta l’applicabilità alla fattispecie concreta della disciplina” che “prevede per l’ipotesi di inadempimento il diritto della parte adempiente di pretendere la restituzione del doppio della somma conferita a titolo di caparra confirmatoria”. Ribadendo che l’acquirente “risulta essere creditrice nei confronti dei convenuti della somma complessiva di 210.000 euro, pari al doppio della caparra confirmatoria (120.000 euro), maggiorata dei 90.000 euro corrisposti in acconto prezzo”.
Il giudice ha, quindi, stabilito che la signora aveva diritto a recedere dall’acquisto una volta scoperto che era all’asta, condannando i venditori al pagamento dei 210.000 euro a titolo del doppio della caparra confirmatoria e delle spese legali.
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