Giovani e legalità: la percezione degli universitari di Perugia
di Gabriele Beccari
Dalla condizione psicologica giovanile alla partecipazione politica, dall’importanza del rispetto delle norme al rapporto con le istituzioni: questi i temi analizzati su un campione di 323 studenti dell’Università di Perugia, appartenenti a vari ambiti disciplinari, con l’obiettivo di comprendere la diffusione della cultura della legalità tra i più giovani. I dati ottenuti sono stati presentati dai professori Paolo Montesperelli e Piero Dominici nella serata del 21 febbraio presso la sala Brugnoli di Palazzo Cesaroni di fronte a una platea di studenti e istituzioni.
La condizione giovanile Il primo step della ricerca prevedeva che i campionati descrivessero con tre parole chiave, liberamente scelte, la propria condizione giovanile. Secondo i dati le parole più frequenti sono state quelle che richiamano l’ansia e lo stress con una frequenza del 36 per cento, mentre un altro 10 per cento ha usato termini concernenti il disagio materiale, sottolineando così come circa la metà degli intervistati viva una situazione psicologica e sociale negativa. Il 12 per cento ha associato la sua condizione al senso della speranza e della proiezione al futuro. La ricerca ha poi scardinato alcuni luoghi comuni come lo sradicamento del giovane dalla vita politica: solo il 13,6 per cento si è dichiarato avulso o indifferente.
Trasgressioni Riguardo la frequenza e la gravità di alcuni comportamenti trasgressivi nella vita quotidiana delle nuove generazioni, il 95 per cento degli intervistati ha raccontato di avere amici che si ubriacano e il 78 per cento che gli stessi usano materiale piratato. Le trasgressioni valutate come più condannabili, che corrispondono anche a quelli più rari fra gli amici, sono le vendette sessuali, le scommesse illegali e l’utilizzo di droghe pesanti, mentre lo spaccio e il consumo di droghe si piazzano in una posizione medio-alta, con il 58,9 per cento di diffusione.
Regole e istituzioni Entrando più nel cuore della ricerca, lo studio si è indirizzato sull’importanza e la validità delle regole tra i giovani: il 55,4 per cento afferma che una norma va sempre e comunque rispettata mentre il 19,5 pensa che una violazione della norma sia giusta solo qualora sia manifestamente assurda, insieme ad un altro 15,4 per cento che giustifica la trasgressione laddove non leda nessuno.
Analisi «I risultati ci dicono che i giovani di oggi sono normativisti, vale a dire che per loro la norma è importante in quanto tale – ha affermato Montesperelli – Le spiegazioni possono essere varie: un senso di lealtà verso la società, il bisogno di sicurezza o ancora la ricerca di certezza. Il mondo gli fa paura: non è più quello della cooperazione internazionale e dei movimenti per la pace, ma quello delle crisi e delle guerre, in cui i giovani non si vogliono identificare». Infine lo studio ha rilevato il grado di fiducia verso una lista di istituzione e gruppi sociali con una scala di punteggi da 0 a 10: in fondo al gradimento si trovano influencer e opinionisti social, l’attuale governo e le istituzioni cattoliche con il 2.9. Sul versante opposto si trovano la famiglia con l’8.5, gli scienziati con il 7.8 e la magistratura con il 7.1. «I dati smentiscono l’idea del giovane social-dipendente e della morte del loro senso di famiglia. I ragazzi però colgono la faccia repressiva del governo – continua Montesperelli – vedere i propri coetanei manganellati è una cosa che li colpisce moltissimo».
Costruire una cultura della legalità «Non riesco a pensare quale sia lo spazio di manovra nel costruire collettivamente una cultura della legalità se non siamo in grado di co-costruire le condizioni di una cittadinanza, che è completamente cambiata. Non è più una questione giuridica, le regole d’ingaggio sono culturali e sociali, legate a ciò che accade all’interno delle nostre istituzioni educative, dove disuguaglianze e simmetrie invece di essere contrastate vengono costantemente alimentate e prodotte. Siamo passati da una stagione in cui queste istituzioni aspiravano a essere agenzie di emancipazione ad agenzie di selezione. bisogna indagare a fondo sennò la cultura della legalità rischia di rimanere un costrutto teorico», ha concluso il docente. Elisa Proietti, di Libera Umbria, invece, ha dichiarato che «è tempo di praticare e trasmettere alla società tutta, come prassi, un lavoro sulle sfumature, le distinzioni e la capacità di farne, sulla capacità critica di analisi della realtà che rischia di venire meno di fronte alla facilità apparente con cui oggi processiamo e acquisiamo le conoscenze».
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